Abitare e Anziani Informa – N. 3  – 2020
Sintesi del rapporto: “La povertà energetica e gli anziani”
Per una politica integrata di contrasto alla povertà

Sommario:

Editoriale: In Italia 2,2 milioni le famiglie in povertà energetica, l’8,6% del totale delle famiglie
Serena Rugiero – Responsabile dell’Area di Ricerca Energia, Sviluppo, Innovazione della Fondazione Di Vittorio

Sintesi del Rapporto “La povertà energetica e gli anziani”
Rapporto realizzato dalla Fondazione di Vittorio per conto e in collaborazione con lo Spi Cgil.

I presidi di assistenza socio-sanitaria territoriale per la tutela della popolazione longeva
Su gentile concessione di Articolo 99 – Associazione per il dialogo sociale

Le rubriche: a cura di Fabio Piccolino
Governo e istituzioni
Organizzazioni sociali e volontariato
Osservatorio internazionale
Osservatorio dell’innovazione
Indagini, studi, ricerche

Foto in copertina “La lampada ad arco” di Giacomo Balla 1909 – Museum of Modern Art di New York.
http://www.arte.it/opera/lampada-ad-arco-4628

Scarica la versione in pdf

*

Editoriale: In Italia 2,2 milioni le famiglie in povertà energetica, l’8,6% del totale delle famiglie

Serena Rugiero – Responsabile dell’Area di Ricerca Energia, Sviluppo, Innovazione della Fondazione Di Vittorio

La “povertà energetica”, con cui si intende la difficoltà delle famiglie ad acquistare un paniere minimo di servizi energetici (elettricità, riscaldamento o raffrescamento adeguato della propria abitazione, acqua calda sanitaria, possibilità di cucinare i cibi), con effetti sul mantenimento di uno standard di vita dignitoso, sulla salute e, in ultima istanza, sulla mortalità, è una nuova forma di povertà e di rischio sociale che caratterizza in modo crescente le economie avanzate come l’Europa.
In Italia, nel 2016, erano oltre 2,2 milioni le famiglie in povertà energetica, pari all’8,6% del totale delle famiglie, in base alla misura ufficiale adottata con la Strategia Energetica Nazionale del 2017. Nella bozza del Piano integrato energia e clima, inviato dal Governo alla Commissione europea, l’obiettivo è ridurre la povertà energetica entro il 2030 in un intervallo fra il 7 e l’8% del totale delle famiglie (Oipe- Osservatorio Italiano sulla Povertà Energetica, 2020).
La povertà energetica colpisce le fasce più deboli della popolazione, in primis, gli anziani, più soggetti di altri alle conseguenze sulla salute e sull’aumento del tasso di mortalità che derivano dall’abitare in una casa non adeguatamente riscaldata nei regimi climatici più rigidi o non adeguatamente climatizzata in presenza di fenomeni di ondate di caldo.
Oltre alla stretta correlazione con lo stato di salute delle persone, la povertà energetica dipende da numerosi altri fattori: i livelli di reddito e di consumo, la dimensione e composizione della famiglia, il costo dell’energia, ma anche la posizione geografica e l’inefficienza energetica del patrimonio abitativo.
La lotta alla povertà energetica richiede pertanto politiche d’intervento integrate – energetiche e sociali – che agiscano sulle diverse determinanti del fenomeno.
Accanto alla salvaguardia delle fasce deboli della popolazione ed ai tradizionali meccanismi di riduzione dei prezzi dell’energia, sono fondamentali gli indirizzi strategici di policy volti favorire l’incremento dell’efficienza energetica degli edifici e della loro accessibilità per le fasce di reddito più basse. In particolare, l’aiuto alle famiglie attraverso il bonus energia elettrica e gas, che rappresenta lo strumento principale in Italia per contrastare la povertà energetica e che consiste in uno sconto praticato alla platea di famiglie in stato di disagio economico stimato attraverso il valore dell’indice ISEE-Indicatore di Situazione Economica Equivalente, non ha finora sortito i risultati sperati, considerando che meno della metà della entità complessiva del bonus è stato erogato alla platea delle potenziali famiglie aventi diritto.
Oltre al basso grado di utilizzo del bonus è da considerare inoltre che molte delle famiglie che nel corso degli anni hanno almeno una volta ottenuto il bonus per l’elettricità e/o gas hanno deciso di non rinnovare la richiesta. La complessità del meccanismo di erogazione che determina alti costi di gestione del sistema e amministrativi è uno dei limiti principali di questo imporrante strumento di contrasto alla povertà energetica. Attualmente l’ARERA- Autorità di Regolazione per Energia Reti e Ambiente sta valutando le possibili modalità di funzionamento del sistema di riconoscimento automatico dei bonus con l’obiettivo di garantirne l’erogazione a tutti gli aventi diritto senza la necessità, per questi ultimi, di presentare apposita istanza di ammissione.
Il rafforzamento dei meccanismi di sostegno per i consumatori vulnerabili appare più che mai necessaria in questa fase di crisi determinata dalla pandemia da COVID-19 che sta inasprendo fortemente le condizioni di povertà energetica e di diseguaglianza abitativa preesistenti. Nella fase di lock-down si è verificato un aumento delle bollette energetiche cosi come della vulnerabilità di coloro i quali sono costretti a vivere in alloggi in cui manca l’accesso ai servizi energetici essenziali.
Le diseguaglianze legate alla dignità degli alloggi e all’accesso all’energia, enfatizzate dalla condizione di reclusione in casa imposta dalle politiche di contenimento della emergenza sanitaria provocata dal nuovo coronvirus, hanno riguardato in modo particolare gli anziani, in quanto più vulnerabili al virus, ma va considerato che anche in tempi normali, tendenzialmente, la popolazione anziana trascorre la maggior parte del proprio tempo in casa rispetto alle altre fasce demografiche.
In tal senso appare di fondamentale importanza contribuire alla promozione di strategie di intervento appropriate per ridurre i disagi economici e sociali indotti dalla povertà energetica, e con particolare attenzione al segmento della popolazione anziana, il cui peso demografico è da molti anni crescente.
A tal fine la Fondazione Di Vittorio nel 2018 ha condotto, in collaborazione con lo Spi-Cgil, una ricerca sulla povertà energetica focalizzata sulla popolazione anziana, e in particolare sui pensionati, volta a rilevare oltre i classici indicatori di reddito e dei bilanci di spesa delle famiglie anche variabili attualmente non rilevate dai dati statistici nazionali e di valutare nel giudizio degli intervistati la conoscenza e l’efficacia delle attuali politiche di lotta alla povertà energetica anche al fine di calibrare al meglio gli interventi di mitigazione e contrasto al fenomeno. L’indagine, di cui di seguito si riportano i principali risultati, ha permesso di tratteggiare i profili degli anziani in condizione di povertà energetica, fornendo un’accurata descrizione delle loro caratteristiche, del loro comportamento e della loro percezione, nonché di quelli “vulnerabili”, persone che rischiano nel breve periodo di cadere in condizione di povertà a causa di un peggioramento delle loro condizioni economiche o di salute, di un aumento dei prezzi dell’energia o di situazioni inattese come la crisi generata dalla pandemia Covid- 19.

Sintesi del Rapporto “La povertà energetica e gli anziani” – Per una politica integrata di contrasto alla povertà

Il rapporto è stato realizzato dalla Fondazione di Vittorio per conto e in collaborazione con lo Spi Cgil.
Autori del rapporto: Serena Rugiero (coordinatrice scientifica), Giuliano Ferrucci, Pier Paolo Angelini

In Italia, come in altre economie avanzate, cresce il numero di persone in “povertà energetica” (PE), espressione con cui si intende la difficoltà ad acquistare un paniere minimo di servizi energetici (elettricità, riscaldamento o raffrescamento adeguato della propria abitazione, acqua calda sanitaria, etc.) con effetti sul mantenimento di un standard di vita dignitoso, sulla salute delle persone e, in ultima istanza, sulla mortalità. In base a stime recenti della Commissione Europea gli italiani che vivono in famiglie in PE sarebbero poco più di 9 milioni, più del 15% del totale.
In questo scenario la Fondazione Di Vittorio e lo Spi CGIL Nazionale hanno condotto una ricerca sul campo il cui scopo è contribuire al contrasto della povertà energetica e agire in un’ottica di prevenzione, sostenendo i consumatori vulnerabili attraverso un’analisi mirata su un segmento specifico della popolazione esposta – gli anziani – il cui peso demografico è destinato a crescere e che le statistiche indicano più a rischio di altri.
L’indagine si è basata sulla somministrazione di un questionario semi-standardizzato ad una platea di 979 soggetti, attraverso il coinvolgimento di leghe dello Spi di: Liguria (307 interviste), Toscana (295), Puglia (205) e Calabria (102).
La ricerca mira a produrre dati innovativi sul tema della povertà energetica che completino le informazioni, spesso parziali, delle analisi ufficiali su questo fenomeno. La ricerca ha consentito di rilevare, oltre ai classici indicatori del reddito e dei bilanci di spesa delle famiglie, anche variabili attualmente non osservate e di valutare la conoscenza degli intervistati sulle attuali politiche di contrasto alla povertà energetica, prendendo in considerazione sia gli strumenti di riduzione del costo dell’energia – quali i bonus sociali energia elettrica e gas – che agiscono sugli effetti della condizione di povertà energetica, sia quelli che agiscono sul versante delle cause, come l’efficienza ed il risparmio energetico.

A) Principali risultati emersi dall’indagine

Lo scopo della ricerca è quello individuare cluster di famiglie che si possono considerare in condizione di povertà energetica o gruppi di cittadini “vulnerabili” che, in un’ottica previsionale, potrebbero trovarsi in futuro nella condizione di energy poverty, poiché vivono in abitazioni energeticamente inefficienti, per la loro condizione economica, per l’alto livello di consumo di energia. A tale fine, l’analisi è stata impostata classificando gli intervistati in tre gruppi – i “poveri energetici”, i “vulnerabili energetici” e gli altri (né poveri né vulnerabili) – in base ai dati rilevati sul campo.

In particolare, i poveri energetici sono coloro che soddisfano almeno uno dei criteri d’indagine che seguono:
• hanno usufruito negli ultimi 12 mesi del bonus per la fornitura di energia elettrica o del gas;
• hanno redditi familiari bassi, anche in relazione alla numerosità del nucleo familiare (inferiori a 10.000 euro netti annui per tutti i nuclei familiari, compresi tra 10.000 e 20.000 euro per le famiglie con più di due persone);
• riferiscono una condizione economica particolarmente disagiata (dichiarano di non riuscire a far fronte ai bisogni primari);
• hanno usufruito negli ultimi 12 mesi di altre agevolazioni (quali sostegno da parte dei servizi sociali comunali, social card…).
Al fine di evitare ‘falsi positivi’ – sarebbe a dire soggetti che, sulla base dei criteri menzionati, vengono inseriti tra i ‘poveri’ – sono stati esclusi coloro che non hanno avuto accesso al bonus elettrico/gas o non hanno beneficiato di altre agevolazioni a causa di un ISEE troppo elevato.
Il gruppo dei vulnerabili include gli intervistati che soddisfano tutte le seguenti condizioni:
• vivono in un’abitazione vetusta (costruita prima del 1980);
• presentano un reddito familiare netto annuo non elevato, anche in relazione alla numerosità del nucleo familiare (escludendo, dunque, coloro che hanno un reddito superiore a 40.000 euro o compreso tra 20.000 e 40.000 euro e vivono soli);

Dalla classificazione risultano quindi i seguenti tre gruppi: gli ‘altri’, ovvero coloro che non rientrano né tra i poveri, né tra i vulnerabili, pari a 632 individui (pari al 65,7% del totale); i ‘poveri’ (184 persone, il 19,1%); i ‘vulnerabili’ non poveri (146 intervistati, il 15,2%) (Fig. 1).

Figura 1: Profilazione rispondenti

A.1) Caratteristiche socio-anagrafiche
Dai dati di indagine emerge, rispetto al genere, una lieve sovra-rappresentazione dei poveri tra le donne. Le situazioni di disagio energetico tendono ad essere maggiormente diffuse con l’avanzare dell’età: difatti, le persone che non vivono in condizioni di difficoltà hanno un’età media di 71,9 anni, dato che cresce a 74,5 per i vulnerabili e a 75,1 per i poveri.
Dal punto di vista territoriale, la quota più sostanziosa di poveri energetici è in Calabria (45,4%) cui si contrappone nettamente il dato osservato in Toscana (6,8% di poveri), mentre in Puglia e Liguria si osservano percentuali prossime al dato globale (19,2%).
L’incidenza della povertà raddoppia per coloro che sono separati/e (o divorziati/e) o vedovi/e e arriva a superare il 30% per nubili e celibi. La condizione di povertà energetica incide in misura più accentuata nelle famiglie mononucleari.
La quota dei poveri decresce rapidamente all’aumentare del livello di istruzione, passando dal 61,4% di coloro che non hanno alcun titolo di studio al 5,4% osservato tra i diplomati. Un trend simile, si osserva tra i vulnerabili.
L’occupazione prima del pensionamento mostra come i poveri siano sovra-rappresentati tra ex-artigiani e casalinghe e – in misura meno accentuata – tra gli operai. Diversamente, gli ‘altri’ vanno a saturare il gruppo di intervistati che svolgeva professioni impiegatizie (84,6%).
Rispetto al tipo di pensione percepita, la povertà ha un’incidenza maggiore tra coloro che non percepiscono una pensione da lavoro (38,1% di poveri) e tra quelle categorie che, beneficiando di emolumenti quali la pensione di invalidità, l’indennità di accompagnamento, la pensione sociale e la reversibilità, sono in una condizione di fragilità economica e/o di salute.

A.2) Condizioni di salute

L’indagine mostra una associazione forte tra gli indicatori di povertà energetica e gli indicatori medico-sanitari. La salute “va molto male” solo nel 2,8% di chi non è in condizione di disagio, percentuale che raddoppia nel caso dei vulnerabili (5,5%) e supera l’11% se si considerano i poveri. All’opposto, poco più della metà dei poveri dichiara di stare bene o molto bene, valore che cresce al 73,3% nel caso dei vulnerabili e all’83,4% negli ‘altri’ intervistati.

Strettamente collegata alle condizioni di salute è la possibilità di mantenere una temperatura confortevole nell’ambiente domestico nei periodi dell’anno con un clima più rigido o più caldo. In termini generali, 6 poveri su 10 non vivono in una situazione confortevole, con temperature domestiche troppo alte o troppo basse. Si tratta di una condizione che nella quasi totalità di poveri e vulnerabili è dovuta a spese eccessive per il riscaldamento o il raffreddamento della casa.

A.3) Informazioni sull’abitazione

Dai dati emerge come la necessità di pagare un affitto, o comunque l’assenza della casa di proprietà, sia associata a condizioni di difficoltà o disagio energetico: il 27,9% dei poveri e il 22,6% dei vulnerabili vive in affitto, contro il 16,1% degli ‘altri’. Inoltre, la condizione di affittuari rappresenta un limite alla possibilità di realizzare interventi infrastrutturali per il miglioramento dell’efficienza energetica dell’abitazione che consentirebbero di ridurre il costo della bolletta abbassando i consumi di energia.

Del resto, l’aver effettuato lavori di ristrutturazione, evento comunque collegato alla proprietà dell’abitazione, è un fatto meno frequente tra i poveri (26,1%) che tra i vulnerabili (44,5%) e gli altri intervistati (57,3%).

Si riscontra una percentuale maggiore di poveri e vulnerabili che vivono in abitazioni monofamiliari o bifamiliari.

Condizioni di povertà e vulnerabilità si associano anche a dimensioni ridotte dell’abitazione: il 35,9% dei poveri vive in abitazioni di 41-60 mq e il 10,9% in case ancora più piccole (fino a 40 mq), contro, rispettivamente, il 28,8% e il 6,2% dei vulnerabili e il 16,3% e l’1,1% degli ‘altri’.

La dotazione di riscaldamento autonomo è più frequente tra coloro che non versano in condizioni di disagio o difficoltà (75,1%), rispetto ai vulnerabili (63,0%) e ai poveri (48,9%), mentre la presenza di un impianto centralizzato è ugualmente diffusa tra i tre gruppi. E’ da notare che il 18% dei vulnerabili e ben più del 30% dei poveri energetici vivono in un’abitazione sprovvista di impianto di riscaldamento (condizione tendenzialmente associabile ad uno stato di alta deprivazione materiale).

A.4) Comportamenti associati al consumo di energia

Riguardo l’utilizzo e la gestione del riscaldamento c’è una tendenza più accentuata da parte dei poveri (73,8%) e dei vulnerabili (68,3%) ad accendere i riscaldamenti solo se strettamente necessario, rispetto a quanto osservato tra coloro che non vivono in una condizione di disagio/difficoltà economica. In particolare, i poveri e i vulnerabili tendono ad adottare comportamenti di risparmio in termini di limitazione dei consumi, che producono un risparmio immediato, mentre gli ‘altri’ investono maggiormente in comportamenti che mirano a ridurre il fabbisogno di energia senza mutare le proprie abitudini di consumo investendo maggiormente nell’acquisto di tecnologie più efficienti che comportano un risparmio nel medio-lungo termine.

Per quanto concerne la gestione energetica sull’elettricità si osserva come tra i poveri i consumi siano decisamente più contenuti, con una media di 491 euro all’anno, rispetto agli altri due gruppi per i quali i costi medi arrivano a 619 euro (vulnerabili) e 588 euro (altri). La forbice tra poveri, da un lato, e vulnerabili e ‘altri’, dall’altro lato, aumenta se si considerano i costi per i consumi di gas: tra i primi si riscontrano medie annue di 258 euro (riscaldamento condominiale) e 531 euro (impianto autonomo), valori ben più bassi rispetto ai costi sostenuti dai vulnerabili, che vanno dai 696 euro di coloro che utilizzano un impianto centralizzato ai 728 euro di coloro che vivono in un’abitazione dotata di impianto autonomo, e dagli ‘altri’.

A.5) Stili di vita e partecipazione sociale

In merito agli stili di vita emerge la scarsa propensione da parte dei poveri alla lettura di giornali e periodici di informazione (la metà degli appartenenti a questo gruppo dichiara di non leggerli mai e più del 40% lo fa solo saltuariamente), nonché la loro difficoltà a partecipare ad eventi culturali (9 su 10 non vi si dedicano mai), a svolgere attività formative.

Più frequenti sono in generale le attività di cura e legate alle relazioni familiari ma, anche in questo caso, si osservano delle differenze sostanziali tra i tre gruppi, denotando una maggiore situazione di isolamento dal punto di vista relazionale per poveri e vulnerabili.

La partecipazione sociale si sostanzia prevalentemente nell’associazionismo sindacale, in misura maggiore per gli ‘altri’, i quali rispetto ai poveri e ai vulnerabili hanno anche una maggiore tendenza a frequentare associazioni culturali. Solo la partecipazione ad associazioni religiose risulta essere più popolare tra i poveri (27,1%) e i vulnerabili (29,4%) rispetto agli ‘altri’.

A.6) Sensibilità pro-ambientale

Sebbene atteggiamenti di scarsa o nulla sensibilità ambientale sono comunque pressoché assenti in tutti e tre i gruppi, tuttavia si registra una maggiore sensibilità per la protezione dell’ambiente da parte di vulnerabili e ‘altri’. Tra i primi il 78,5% ritiene che la protezione dell’ambiente sia molto importante, valore che cresce all’86,8% tra gli ‘altri’ mentre si ferma al 68,5% tra i poveri.

A.7) Analisi multivariata: un identikit degli anziani in povertà energetica

Attraverso il ricorso a tecniche di analisi multivariata (analisi fattoriale e analisi dei cluster) è stato possibile delineare gruppi tipologici differenti di soggetti anziani sotto il profilo della povertà energetica, passando da una descrizione generale dell’informazione raccolta sul problema ad una verifica del potere discriminante delle singole domande del questionario. In tal modo è stato ricostruito un quadro sintetico ma efficace dell’insieme delle specificità sociali, culturali ed economiche delle tipologie di consumatori vulnerabili, al fine di tarare al meglio gli interventi sociali di mitigazione e contrasto al fenomeno della povertà energetica.

Le variabili che da un confronto tra le nostre ipotesi e i risultati delle interviste, sono emerse come rilevanti sono state selezionate e aggregate in due fattori funzionali alla costruzione delle tipologie:

Il fattore più rilevante lungo il quale leggere il fenomeno della povertà energetica degli anziani è composto da aspetti riguardanti il confort abitativo e definisce un’area di povertà/disagio nella quale l’impossibilità di mantenere una temperatura adeguata si accompagna a carenze strutturali dell’abitazione e condizioni economiche e di salute precarie, opposta ad un’area di benessere sia dal punto di vista del confort abitativo, sia per quanto riguarda le condizioni economiche e di salute.

Un secondo fattore, che specifica quanto definito dal primo, riguarda l’aspetto territoriale – dunque la localizzazione dell’abitazione – in concomitanza ad altre caratteristiche della casa. Da questo punto di vista, emerge come la povertà energetica degli anziani possa manifestarsi nei contesti urbani e rurali in dimensioni abitative differenti. In città prevalgono situazioni che vedono case di dimensioni ridotte, tendenzialmente in affitto, situate in condominio in contesti urbani; nelle zone rurali il modello abitativo vede abitazioni più ampie, a carattere mono/bi-familiare, tendenzialmente di proprietà.

A loro volta i suddetti fattori costituiscono indici sintetici degli aspetti che più caratterizzano i soggetti intervistati, che sono stati classificati in tre gruppi (cluster): un primo gruppo include i “benestanti”, in un secondo gruppo troviamo i soggetti “a rischio”, mentre le persone che vivono le condizioni più difficili sono classificate tra gli “indigenti” (terzo gruppo).

  • I “benestanti”

La tipologia dei “benestanti” corrisponde al gruppo più consistente in termini di numerosità (429 individui, il 52,7% del totale). Questo gruppo identifica quelle persone che possono godere di un maggiore benessere tanto dal punto di vista finanziario (possono affrontare spesso/sempre spese non essenziali), quanto sul versante del confort abitativo poiché riescono a mantenere una temperatura adeguata sia nella stagione estiva, sia in quella invernale, senza ripercussioni negative sulle condizioni di salute (giudicate come buone o molto buone), grazie ad una maggiore disponibilità economica immediata per il pagamento delle bollette e a consumi limitati dall’adozione di misure di efficientamento energetico. Vivendo in condizioni di maggiore agiatezza non usufruiscono del bonus elettrico/gas e hanno una casa di proprietà. Rispetto alle variabili socio-anagrafiche, sono persone coniugate/conviventi, con un titolo di studio elevato e hanno svolto professioni impiegatizie. Dal punto di vista territoriale si tratta di individui che tendenzialmente vivono in Toscana.

  • Gli anziani “a rischio”

Il secondo gruppo (271 individui, 33,3%) è maggiormente associato a condizioni economiche familiari né agiate, né di indigenza (riescono a far fronte ai bisogni primari, non alle spese non essenziali) che comunque non permette alle persone che ne fanno parte di raggiungere una temperatura confortevole nell’ambiente domestico – anche a causa dell’assenza di doppi vetri e di altre misure di efficientamento energetico – pur facendo affidamento, in alcuni casi, sul bonus elettrico/gas. Si tratta generalmente di famiglie mononucleari, tendenzialmente vedovi/e, che vivono in un’abitazione di dimensioni ridotte (fino a 60 mq) situate in un condominio in ambiente urbano. Per quanto riguarda la professione svolta prima del pensionamento, si tratta principalmente di ex-casalinghe o collaboratori domestici. Dal punto di vista territoriale si tratta di persone generalmente residenti in Liguria.

  • Gli “indigenti”

La tipologia che rientra sotto questa etichetta (114 individui, 14,0%) comprende quelle persone che vivono in condizioni di indigenza, non riuscendo a far fronte ai bisogni primari. Per quanto, tendenzialmente, riescono ad accedere al bonus elettrico/gas, non sono nelle condizioni – al pari di coloro che sono classificati nel secondo gruppo, di poter mantenere una temperatura adeguata nell’abitazione, anche in ragione della totale assenza di misure di efficientamento energetico, a partire dai doppi vetri, e dalla mancanza dell’impianto di riscaldamento. Ad uno stato di povertà energetica ed economica si accompagnano condizioni di salute precarie e/o compromesse dalla presenza di patologie specifiche. Si tratta di persone che vivono principalmente in Calabria.

Figura 2: Proiezione dei clusters sullo spazio dimensionale definito dai primi due fattori dell’ACM

B) Strumenti di contrasto alla povertà energetica

In Italia, lo strumento principale per contrastare il fenomeno della povertà energetica è il bonus sociale energia elettrica e gas, introdotto in Italia negli anni 2008 e 20091.

Tuttavia, l’aiuto alle famiglie attraverso i bonus non ha sortito i risultati sperati. Da una parte, molte famiglie che oggi hanno diritto ai bonus in base al valore ISEE non ne fanno richiesta; dall’altra, se anche tutte le famiglie che oggi hanno diritto al bonus lo ricevessero, in base all’attuale architettura della misura, resterebbe comunque fuori una parte rilevante delle famiglie che sono (de facto) in condizione di povertà energetica.

Prima della entrata in vigore nel 2015 del nuovo Isee le famiglie potenzialmente beneficiarie del bonus elettrico e/o gas per disagio economico erano complessivamente 2,5/3 milioni; dopo la riforma quel numero si è notevolmente ridotto (2 milioni nel 2015 e 2,2 nel 2016) ma la percentuale di famiglie effettivamente agevolate sul totale delle famiglie aventi diritto ha continuato ad attestarsi intorno al 30–32%. È rimasto quindi sostanzialmente stabile e decisamente basso il take up della misura.

Per quanto riguarda l’Isee come strumento di accesso al bonus, si sottolinea il fatto che è un indicatore reddituale e patrimoniale che non tiene conto di alcuni fattori importanti che entrano nella definizione di povertà energetica, quali la tipologia di abitazione e il contesto locale di riferimento (urbano, montano, rurale).

Per quanto concerne in particolare le condizioni di accesso al bonus gas, inoltre, gli attuali criteri escludono i soggetti che utilizzano fonti di energia diverse dal gas naturale e i soggetti che ricorrono al teleriscaldamento (perché non possono beneficiare degli sconti in bolletta). Anche le famiglie del tutto sprovviste di impianto di riscaldamento, verosimilmente le più povere, sono escluse dal beneficio.

Altro aspetto critico nell’applicazione del bonus sociale è la complessità dell’iter amministrativo, che determina alti costi di gestione del sistema e costi amministrativi ai distributori e venditori di energia elettrica e gas che devono provvedere a corrispondere il bonus in fase di fatturazione.

Il bonus sociale resta nondimeno uno degli strumenti cruciali nella lotta alla povertà per la sua capacità di dare sollievo immediato alle famiglie più in difficoltà, in particolare quando la povertà energetica, come nella maggioranza dei casi, è associata alla povertà economica, quando colpisce le persone che non hanno una casa di proprietà e le persone anziane alle quali non si può chiedere di fare progetti di lungo periodo (come quelli richiesti dalle misure di efficientamento energetico).

Risulta perciò di fondamentale importanza aprire una seria riflessione sui motivi dello scarso accesso al bonus da parte degli aventi diritto e sulle possibili misure correttive nell’ottica di un rafforzamento dello strumento, che oggi è reso ancor più urgente dai rincari che dal primo ottobre 2018 portano la luce a costare il 7,6% in più (pari a 32 euro in più per un “consumatore medio” nell’anno ‘scorrevole’ 2018), mentre il metano sale del 6,1% (+61 euro).

Per quanto riguarda le misure volte ad accrescere l’efficienza energetica delle abitazioni (le detrazioni per gli interventi di riqualificazione energetica

1 Il bonus elettrico e gas consiste in una compensazione della spesa energetica alla platea di famiglie in stato di disagio economico stimato attraverso il valore dell’indice ISEE- Indicatore di Situazione Economica Equivalente o che sono in condizione di dovere richiedere, per motivi di salute, l’utilizzo di apparecchiature elettromedicali salvavita. Per l’accesso al bonus si aggiungono le famiglie titolari di carta Acquisti: dal 2010, infatti, i titolari di carta acquisti ricevono automaticamente (l’INPS si interfaccia direttamente con SGAte) in bolletta il bonus elettrico (se dichiarano il POD). Inoltre, il d.lgs 147/2017 che ha istituito il Reddito di Inclusione ha previsto l’estensione automatica ai titolari di Carta Acquisti anche del bonus gas (inserendo il PDR) e l’estensione automatica del bonus elettrico e gas ai titolari di Carta REI (in attesa dei decreti attuativi).

Per quanto riguarda le misure volte ad accrescere l’efficienza energetica delle abitazioni (le detrazioni per gli interventi di riqualificazione energetica degli edifici), esse consentono di abbattere il costo complessivo dell’energia riducendo i consumi, ma richiedono di spostarsi sul fronte degli investimenti. Si passa pertanto da provvedimenti di breve termine ad interventi infrastrutturali di lunga durata in grado di ridurre i fabbisogni e diminuire la spesa, dalle azioni di mitigazione a quelle di contrasto della povertà energetica. Ci sono, tuttavia, alcuni importanti fattori – impliciti nella natura dell’investimento – che limitano la pratica di questi interventi, in particolare tra i più anziani.

Un primo ostacolo è rappresentato dal costo tendenzialmente elevato, soprattutto per soggetti in condizione di disagio economico. Le famiglie a basso reddito non possono infatti ricorrere alle detrazioni fiscali – e quindi accedere alla misura – perché non hanno maturato un debito irpef sufficiente a coprire il beneficio di imposta, sebbene le attuali modalità di erogazione dell’ecobonus consentano di raggiungere anche parte degli incapienti e dei residenti nella case popolari, superando così uno dei principali punti di debolezza della misura. La legge n. 205 del 27 dicembre 2017 (Legge di Bilancio 2018) ha infatti prorogato le detrazioni1 e dal 2018 alcune di queste

detrazioni sono fruibili anche dagli istituti autonomi case popolari, comunque denominati, e dalle cooperative di abitazione a proprietà indivisa ed è possibile la cessione del

Gino_Severini – Ballerina in blue – 1912

credito fiscale dell’ecobonus alle imprese esecutrici o ad altri soggetti privati, mentre i contribuenti “incapienti” possono cedere il credito relativo all’ecobonus anche alle anche e agli istituti finanziari.

Altro punto critico, soprattutto per la popolazione anziana, è la dimensione long term degli interventi di efficientamento. Gli anziani sono comprensibilmente meno inclini a fare sacrifici che portino frutti nel futuro. Questo aspetto incide fortemente considerando che l’ecobonus, seppure ben congegnato e migliorato nel tempo, richiede una prospettiva di medio lungo periodo affinché l’investimento si traduca in beneficio economico netto.

C) Indicazioni di policy

La lotta alla povertà energetica richiede politiche d’intervento integrate, energetiche e sociali, da attuarsi attraverso la promozione di un confronto tra tutti gli attori socio-economici interessati alla costruzione di strategie e politiche di intervento in materia.

Tra i soggetti principali troviamo gli amministratori pubblici, l’Autorità competente, il Governo, gli Enti Locali, le grandi aziende Multiutilities, i Sindacati, i rappresentanti dei consumatori, il mondo della ricerca ed altri stakeholder. L’obiettivo ultimo dovrebbe essere quello di operare all’interno di un processo condiviso per la costruzione di una governance finalizzata alla lotta alla povertà energetica.

C.1) Interventi correttivi dello strumento dei bonus sociali energia elettrica e gas.

Per rafforzare lo strumento del bonus si propone di:

  • allargare la platea degli aventi diritto;

  • aumentare l’importo del bonus per garantire una maggiore copertura della spesa;

  • semplificare l’iter amministrativo con una conseguente riduzione dei costi di gestione (e valutando attentamente i possibili benefici dell’automatizzazione).

Il primo punto all’ordine del giorno è quindi ampliare la platea dei percettori dei bonus sociali energia e

gas, attualmente stimata in poco più di 700 mila famiglie su circa 2,2 milioni di quelle aventi diritto in base ai valori Isee (valori al 2016).

Un obiettivo ambizioso – e tuttavia doveroso nell’attuale contesto di crescente disagio – è raddoppiare il numero di percettori, portando il take up della misura (calcolato sui potenziali beneficiari) dal 30-32% al 60-64%, aumentando, a tale scopo, le somme complessivamente erogate che nel 2017 si attestavano a 95 milioni di euro per il bonus elettrico e a 57 milioni di euro per il bonus gas. Aumentare le risorse ad oggi corrisposte non comporterebbe un aumento rilevante delle bollette a carico degli utenti-contribuenti, considerando che nel 2017 un cliente domestico tipo, per il finanziamento del bonus elettrico (totalmente alimentato dalla componente tariffaria AS raccolta attraverso la bolletta elettrica a carico di tutti i clienti con l’esclusione di quelli agevolati), ha sostenuto una spesa compresa tra i 0,77 – 1,15 euro anno.

Incrementare le somme stanziate per finanziare questi contributi monetari appare ineludibile, non solo per corrispondere ai bisogni di chi oggi ha diritto al sostegno ma non lo riceve, ma anche per coprire una percentuale maggiore di spesa che, almeno per quanto riguarda il gas naturale, risulta del tutto insufficiente (solo il 15% della spesa netta)2.

Con riferimento alla necessità di estendere il bonus gas anche agli utenti attualmente esclusi (utenze diverse dal gas naturale), si propone di unificare i due bonus in un unico bonus energia non più legato all’oggetto di consumo (attualmente energia elettrica per l’alimentazione dei dispositivi domestici e il gas naturale per la cucina, l’acqua sanitaria e il riscaldamento) – e quindi alla relativa bolletta – ma esteso a tutte le materie e modalità possibili di riscaldamento. Questo comporterebbe la corresponsione diretta del contributo non più nella forma di sconto in bolletta ma come buono di spesa che andrebbe vincolato all’acquisto dei beni e servizi energetici di cui la famiglia abbisogna (dall’energia elettrica al pellet, sulla base di quanto dichiarato nel modulo di richiesta del contributo). La misura del contributo andrebbe fissata in percentuale della spesa media annuale stimata in funzione di:

  • sistema di riscaldamento della casa e dell’acqua sanitaria (e di alimentazione della cucina);

  • certificazione energetica dell’abitazione;

  • numero di componenti della famiglia;

  • zona climatica.

Un importante contributo ad un migliore utilizzo dei bonus energetici può venire dalla definizione di un regolamento che migliori le possibilità di accesso al di là dei limiti già sottolineati dello strumento Isee. Per la definizione del nuovo regolamento si considera fondamentale aprire un tavolo presso l’Autorità di Regolazione per Energia Reti e Ambiente (Arera) con le rappresentanze istituzionali, di gestione e dei sindacati finalizzato alla stesura del nuovo regolamento.

In ultimo, al fine di estendere la platea dei beneficiari occorre aumentare la consapevolezza e la conoscenza dei cittadini-consumatori promuovendo campagne di informazione e comunicazione su tutto il territorio nazionale. Una informazione chiara e completa è di fondamentale importanza su questioni complesse come le procedure burocratiche per ottenere il bonus elettrico e gas e per superare le barriere psico-sociali connesse alla condizione di povertà (la reticenza ad ammettere la propria condizione di disagio e la diffidenza nell’esporsi e fornire informazioni) che si ripercuotono sulla volontà di chiedere e ricevere supporto. Al riguardo può essere efficace dare maggiore esecutività diretta alla rete dei CAF (centri di assistenza fiscale) per favorire una migliore conoscenza degli aventi diritto e agevolare il rapporto con uffici e sportelli dedicati.

1 Riducendole tuttavia al 50% della spesa sostenuta (dal 65%) per molte delle voci previste.

2 Come accennato, l’aumento recente dei prezzi dell’energia e del gas naturale comporta un aumento medio di spesa per famiglia pari a poco meno di 100 euro nell’anno: a bocce ferme, questi aumenti produrranno comunque un incremento delle somme corrisposte per i bonus sociali nella stessa misura percentuale dell’aumento dei prezzi (+7,6% per quello dell’energia elettrica, +6,1% per quello del gas naturale), aumento che graverà sui poveri energetici per la parte non coperta dai bonus (70% della spesa lorda per l’elettrico, 85% della spesa netta per il gas naturale). Occorrerebbe almeno prevedere le risorse necessarie per azzerare l’aumento dei prezzi nelle bollette scontate a carico dei poveri energetici attualmente percettori dei bonus sociali (energia e/o gas).

C.2) Azioni di risparmio e misure per incentivare gli interventi di efficientamento energetico

Per riconoscere anche alle famiglie meno abbienti il diritto a migliori condizioni di vita ristrutturando la casa con interventi centrati sull’efficienza energetica, si suggerisce di calibrare la quota di spesa da portare in detrazione in base al valore dell’ISEE, riconoscendo una percentuale maggiore ai meno abbienti (fino al 90% per gli incapienti), e incrementando per quanto possibile i fondi a disposizione.

Per ‘rafforzare’ l’accessibilità degli interventi di efficientamento energetico agli anziani si potrebbe pensare di intrecciare le esigenze di

 

ammodernamento energetico con quelle di valorizzazione del patrimonio immobiliare attraverso la monetizzazione anticipata dell’immobile che riguarda soprattutto gli anziani che vengono definiti poveri di reddito ma – relativamente – ricchi di patrimonio, incentivando in tal modo meccanismi di investimento per questo segmento specifico della popolazione. è matura la convinzione che i due strumenti di mercato preposti – la vendita della nuda proprietà e il prestito vitalizio ipotecario – non si stiano rivelando idonei a rendere liquida questa ricchezza immobiliare (tema che esiste anche per il concorso alla partecipazione alla spesa dei servizi pubblici quando regolati dall’ISEE) e che sarebbe utile pensare a strumenti ad hoc, più tutelanti verso gli anziani nella determinazione dei valori e delle condizioni, che coinvolgano EELL con il supporto di soggetti del terzo settore come le Fondazioni, in grado di coinvolgere in funzione di supporto, e non come attore principale, il sistema bancario.

Per stimolare comportamenti di risparmio energetico e promuovere interventi per migliorare l’efficienza energetica delle abitazioni è necessario diffondere una corretta informazione tanto sulle buone pratiche in ambito domestico quanto sulle modalità di accesso alle agevolazioni fiscali e alle diverse soluzioni di efficientamento dell’immobile. Il contenuto tecnico-scientifico degli interventi può avere infatti un effetto “scoraggiante”, in particolare per i meno abbienti che in genere manifestano una maggiore debolezza nella comprensione di queste informazioni.

C.3) Azioni trasversali

Per una politica coordinata degli strumenti di contrasto alla povertà, un ruolo fondamentale può essere svolto dai Comuni attraverso l’Anci e la Piattaforma SGATE.

In primo luogo va promosso il dialogo tra i diversi soggetti che gestiscono gli interventi (REI, bonus, altre forme di agevolazione): i servizi sociali che fanno la presa in carico delle varie situazioni di disagio (non solo economico), i soggetti istituzionali preposti alla gestione degli strumenti (Comuni, Inps, Agenzia delle Entrate), i Caf che attestano la presenza dei requisiti per ottenere i diversi benefici previsti.

Le strutture sindacali grazie alla loro presenza diffusa in tutti i territori possono svolgere un’utile azione di supporto informativo, come del resto ha evidenziato la ricerca attraverso il coinvolgimento delle strutture territoriali dello Spi Cgil che hanno diffuso il questionario da cui sono stati tratti i dati oggetto dell’analisi. Un’azione coordinata dei sindacati Cgil Cisl Uil Confederali, dei Pensionati e della rete dei servizi (Caf – Patronati – associazioni) consentirebbe di coprire in modo pressoché totale il territorio nazionale.

La contrattazione sociale territoriale dei sindacati nelle loro articolazioni può essere un ulteriore elemento di forte sostegno alla piena realizzazione degli strumenti di contrasto alla povertà definendo anche specifici protocolli d’intesa sia con le associazioni di rappresentanza come le Anci regionali, sia con le realtà amministrative locali in forma singola o associata (Unioni di comuni).

I presidi di assistenza socio-sanitaria territoriale per la tutela della popolazione longeva.

Gli insegnamenti dell’impatto avuto sulla popolazione anziana dal Covid–19 in relazione alla efficienza ed efficacia del sistema sanitario e assistenziale.

Il Documento è stato elaborato dal Gruppo di lavoro formato da Claudio Falasca (che ha curato anche la stesura finale), Aldo Amoretti, Renato Matteucci, Giuseppe Taddei

In progress al 3 giugno 2020

Ci avviamo verso il superamento della emergenza Covid-19. Una esperienza durissima per il Paese che richiederà tempo e cure per superare l’eredità che ci lascia. Tra queste il bilancio degli anziani morti a causa del virus, un pesantissimo debito sulle spalle della collettività per non aver saputo proteggere adeguatamente la parte più fragile della popolazione. Su questo drammatico argomento, che ha messo in evidenza tutti i limiti del sistema italiano di assistenza sanitaria e sociale dei longevi, in numerosi hanno espresso le opinioni e dato consigli.

Anche Articolo 99 – Associazione per il dialogo sociale, con questa nota vuole dare il suo contributo di idee e proposte ben sapendo che si potrà corrispondere al debito contratto solo se sapremo attivare tempestivamente tutte quelle riforme tese a evitare che quanto accaduto si possa ripetere. Consideriamo che questo sia anche il messaggio, più o meno implicito nei recenti importanti indirizzi maturati dalla Commissione europea riguardo alle misure di sostegno economico finanziarie per i Paesi più colpiti dalla pandemia. Riteniamo che se le eventuali condizionalità saranno finalizzate a prevenire il ripetersi di una eventuale pandemia è un dovere morale accettarle e, coerentemente, tenerne conto.

Le misure del Governo

Innanzitutto è doveroso ricordare che il Governo nazionale con il D. L. Rilancio Italia interviene sulla sanità territoriale e sulla rete ospedaliera. Malgrado che il sistema sanitario italiano sia considerato tra i migliori è indubbio che, nonostante l’impegno dei suoi operatori, numerose sono state le falle venite alla luce. Segnatamente riteniamo che il punto di maggiore crisi si sia manifestato nel sistema dei presidi di assistenza socio sanitaria territoriali. Che questo potesse avvenire era del tutto prevedibile in quanto da tempo le organizzazioni sociali e del volontariato denunciano la poca attenzione che viene prestata ai distretti sociosanitari con particolare riguardo alle cure domiciliari. È quindi quanto mai opportuna, anche se tardiva, l’attenzione contenuta nel DL a questo livello di servizi.Per lasanità territoriale è previsto, infatti,un investimento complessivo pari a 1 miliardo e 256 milioni di euro, destinato a finanziare le aree che si sono rilevate di maggiore criticità. Qui di seguito riportiamo alcune delle misure contenute nel DL:

  • assistenza domiciliare – Verranno implementate sul territorio, con personale dedicato, le azioni terapeutiche e assistenziali domiciliari. L’assistenza ai pazienti ultra 65enni passerà dagli attuali 610.741, pari al 4% della popolazione over 65, a 923.500, pari al 6,7%. Risorse stanziate per personale e servizi: 733.969.086 euro;

  • rete territoriale e USCA (Unità Speciali di Continuità Assistenziale) – In tutte le Regioni e Province autonome verrà potenziata l’attività di sorveglianza attiva a cura dei Dipartimenti di prevenzione, in collaborazione con i medici di medicina generale e i pediatri di libera scelta. Viene disposto l’incremento dei controlli nelle residenze sanitarie assistite (RSA), anche attraverso la collaborazione di medici specialisti. Sul territorio sarà aumentata la funzionalità delle USCA, deputate al supporto dei servizi di assistenza domiciliare, anche reclutando al loro interno medici specialisti ambulatoriali convenzionati. Risorse stanziate per personale e servizi: 61 milioni di euro;

  • infermiere di famiglia– É’ previsto il rafforzamento dei servizi infermieristici territoriali, per potenziare l’assistenza domiciliare integrata ai pazienti in isolamento domiciliare e ai malati cronici, disabili, persone con disturbi mentali o in situazioni di fragilità. Con questo obiettivo viene introdotta la figura dell’infermiere di quartiere, 9.600 nuovi infermieri, 8 ogni 50mila abitanti, anche a supporto delle USCA. Risorse stanziate per le nuove assunzioni: 332.640.000 euro. Si aumenta inoltre, con 10 milioni di euro, la disponibilità del personale infermieristico a supporto degli studi di medicina generale, per fronteggiare l’emergenza;

  • monitoraggio domiciliare – Per una maggiore sorveglianza sanitaria domiciliare verrà potenziato il monitoraggio, anche attraverso l’uso di App di telefonia mobile. Tutto ciò permetterà di coordinare al meglio i servizi d’assistenza necessari ai pazienti, che riceveranno in dotazione anche i saturimetri per misurare i livelli di ossigenazione, e di individuare subito un eventuale peggioramento clinico di un assistito a domicilio o in una residenza assistenziale, mettendo in moto una tempestiva ospedalizzazione. A questo scopo saranno attivate centrali operative regionali, dotate di apposito personale e di apparecchiature per il telemonitoraggio e telemedicina. Risorse stanziate per personale, infrastrutture e strumentazioni: 72.271.204 euro.

  • assistenti sociali – Per la valutazione complessiva dei bisogni dei pazienti e l’integrazione con i servizi socio-sanitari, le USCA saranno integrate dalla figura degli assistenti sociali regolarmente iscritti all’Albo professionale. Risorse stanziate: 14.256.000 di euro.

  • strutture territoriali di isolamento – Laddove per applicare le misure di isolamento domiciliare e di quarantena, o per ospitare pazienti dimessi dagli ospedali, sia necessario disporre temporaneamente di immobili alternativi al domicilio privato, Regioni e Province autonome potranno stipulare contratti d’affitto con strutture alberghiere o di tipologia analoga. Verranno stanziati fondi per infermieri, operatori tecnici assistenziali, sanificazione, formazione del personale alberghiero, lavanderia, manutenzione delle strutture. Risorse stanziate: 32.497.693 euro.

Il DL interviene anche sulla rete ospedaliera, messa a dura prova nei mesi più caldi dell’emergenza coronavirus, con un investimento complessivo pari a 1 miliardo e 467 milioni di euro. La logica di base è quella di garantire un’assistenza pronta e adeguata ai pazienti più gravi che necessitano di cure intensive rendendo possibili percorsi rigorosamente distinti per pazienti Covid o non Covid. Qui di seguito alcune delle misure previste:

  • Covid-Hospital – Verrà incrementata e resa stabile la realizzazione di Covid-Hospital, un pezzo fondamentale nella strategia contro il virus, dal momento che gli ospedali misti facilmente moltiplicano il contagio. Saranno strutture ad alto valore aggiunto in termini di innovazione, tecnologia e competenze, dedicate esclusivamente ai pazienti Covid-19 che saranno curati da personale adeguatamente formato, all’interno di spazi strutturalmente distinti;

  • terapie intensive e ospedali mobili – Vengono consolidati stabilmente 3.500 posti in più in terapia intensiva. Si passa da un numero di 5.179 (pre-emergenza) a 8.679, con un incremento del 70%. A questi si aggiunge la predisposizione alla terapia intensiva, con la sola implementazione di ventilazione meccanica e monitoraggio, di 2.112 posti letto di terapia semintensiva. Inoltre si aggiungono 300 posti letto di terapia intensiva suddivisi in 4 strutture movimentabili, pronte per essere allestite in breve tempo nelle zone ad accresciuto fabbisogno. Questo porta la disponibilità di terapie intensive a 11.091 posti letto di terapia intensiva, +115% rispetto alla disponibilità in pre-emergenza.

  • terapie semintensive- Si incrementano stabilmente su tutto il territorio nazionale 4.225 posti letto di terapia semintensiva, di cui il 50%, come sopra detto, prontamente convertibile in terapia intensiva. Potranno cioè essere trasformati immediatamente in vere e proprie postazioni di rianimazione con la sola integrazione di apparecchiature di ventilazione e monitoraggio.

  • pronto soccorso – I pronto soccorso e Dea verranno ristrutturati e riorganizzati, prevedendo la separazione delle strutture, l’acquisto di attrezzature, la creazione di percorsi distinti per i malati Covid-19 e di aree di permanenza per i pazienti in attesa di diagnosi.

  • Covid-ambulance – Verranno acquistati mezzi di soccorso h24 ad alto biocontenimento, da utilizzare per trasferimenti di pazienti Covid-19, per dimissioni protette o per trasporti interospedalieri. Prevista anche la dotazione di personale dedicato con medico, infermiere e autista/barelliere.

Il terzo asse del DL è relativo a nuove assunzioni, incentivi, formazione. Gli interventi previsti per supportare i professionisti del Servizio Sanitario Nazionale dopo la fase più acuta della crisi coronavirus sono sostenuti da un investimento complessivo pari a 526 milioni di euro così ripartiti:

  • incentivi al personale del SSN – Incremento delle risorse per straordinari del personale ospedaliero, indennità contrattuali, produttività e risultato. Risorse stanziate: 190 milioni di euro;

  • risorse per ulteriori assunzioni – Altri 241 milioni serviranno per ulteriori assunzioni in ambito ospedaliero;

  • formazione – un incremento di 4.200 borse di specializzazione in area medica. In particolare, saranno aumentate le borse in Anestesia e rianimazione, Medicina d’urgenza, Pneumologia, Malattie infettive e loro specialità equipollenti.

In questo quadro di interventi del Governo vanno anche ricondotte le misure di sostegno previste per la emersione del lavoro di cura (art. 103) e l’incremento dei finanziamenti per il Fondo non autosufficienza (art.104).

Le osservazioni che avanziamo a questo insieme di misure, nel quadro di un generale apprezzamento per il consistente sforzo nei finanziamenti previsti, sono fondamentalmente riconducibili alla esigenza di un salto di qualità nel sistema di cure domiciliari delle persone anziane. Se l’esito della rinnovata attenzione tributata ai servizi domiciliari consisterà nel reiterare – fedelmente ma su più ampia scala, grazie ai maggiori finanziamenti – le attuali criticità del settore, sicuramente un maggior numero di anziani verrà seguito a casa propria, ma altrettanto certamente si sarà persa un’occasione fondamentale per rendere più adeguate le risposte ai loro bisogni.

Il parere del CNEL

Su questa complessa e delicata materia anche il CNEL ha ritenuto opportuno esprimersi con un Documento di osservazioni e proposte “Per la ricostruzione dopo la crisi Coronavirus” approvato nella Assemblea del 22Aprile 2020.

Con riferimento al sistema sanitario il CNEL si esprime nel modo seguente:

La capacità di risposta del sistema sanitario nazionale in occasione di questa straordinaria pressione epidemica, se da un lato ha confermato la solidità, professionalità e qualità complessiva del sistema, ha purtroppo anche messo in evidenza le disomogeneità tra regioni, le scoperture dei presidi di primo livello, le carenze di pianificazione e coordinamento in caso di emergenze a carattere nazionale. Occorre quindi cogliere questa occasione per investimenti che rafforzino il sistema sanitario nazionale perché sia in grado di garantire effettivamente i livelli essenziali di assistenza e di fronteggiare in futuro eventuali emergenze sanitarie in condizioni di sicurezza e non con decretazioni d’urgenza. Le risorse investite nell’emergenza non riallineano i finanziamenti al fabbisogno standard dopo i tagli dell’ultimo decennio. Lo Stato deve garantire un maggior presidio territoriale. Bisogna potenziare l’assistenza continua con una maggiore integrazione tra medici convenzionati e servizi pubblici, sviluppare l’integrazione tra sanità e sociale. Occorre definire i livelli essenziali dell’assistenza sociale (LEPS) anche come passo indispensabile per l’attuazione dei nuovi LEA sanitari. Bisogna assicurare coincidenza tra i Piani Sociali e quelli Sanitari nonché la centralità del distretto sociosanitario. Occorre investire in prevenzione (rispettando il vincolo di destinazione del finanziamento al 5% del FSN) per dare al sistema la capacità di cogliere le evoluzioni epidemiologiche e riorganizzarsi. Occorre recuperare il gap di personale, perché la qualità del lavoro è qualità dei servizi.”

Con riferimento alle politiche e servizi sociali il CNEL sottolinea come: “

La pandemia ha posto in drammatica evidenza la scarsa attenzione che le istituzioni riservano al tema degli anziani e dei disabili, evidenziando l’aumento delle diseguaglianze sociali e territoriali tanto da richiedere da subito interventi straordinari di sostegno alimentare e al reddito. È di tutta evidenza che chi era in difficoltà precedentemente lo sarà ancor di più e molte persone si troveranno nel medio periodo a richiedere supporto. Vanno quindi rafforzate le reti di contrasto alla povertà aumentando in particolare i servizi sociali territoriali e i servizi domiciliari per accogliere l’aumento delle richieste di aiuto che perverranno in primo luogo da persone anziane e soggetti con disabilità a cui si chiede di non uscire per periodi lunghi, e che non potranno usufruire di centri diurni o aggregativi per le norme di contenimento. Inoltre, occorre trovare risposta alle richieste delle famiglie con compiti di cura e accudimento che non chiedono sostegno economico, ma soprattutto assistenziale, e che già prima dell’emergenza attendevano supporto. Assieme a queste fasce di popolazione particolarmente esposte è evidente la situazione di rischio, anche per la tenuta sociale, legata alle persone che non possono contare su sostegni familiari o di comunità, come le persone senza dimora, gli assistenti familiari e le persone dimesse dal carcere. Diventa quindi fondamentale investire e strutturare le reti degli Enti locali del terzo settore presenti per intercettare le nuove richieste, e continuare ad erogare i servizi precedentemente attivi. Vanno previste risorse ulteriori per poter strutturare i servizi e gli interventi previsti dalla legge 328/2000 al fine di garantire la migliore integrazione sociosanitaria e con le istituzioni scolastiche. Infine, occorre non abbassare l’intensità di intervento diretto allo sviluppo del Mezzogiorno del Paese”.

Le osservazioni e proposte del CNEL sono nel complesso condivisibili, sia nelle analisi che nelle proposte, tuttavia non mettono adeguatamente in luce gli elementi di novità derivanti dalla straordinarietà del Covid-19, ma si limitano a riproporre, sia pure giustamente, l’esigenza di recuperare i ritardi su numerose riforme del sistema socio-sanitario che le organizzazioni del mondo del lavoro e del terzo settore da tempo richiedono.

Inoltre il documento del CNEL si muove ancora all’interno di una visione in cui persiste la separatezza tra la dimensione sanitaria e quella sociale, quando da tempo l’esperienza ha dimostrato che questa separatezza, nel caso della longevità, sia un limite nocivo che deve essere rapidamente superato.

Infine non viene fatto nessun riferimento, sia in termini di analisi che di proposta, allo scenario internazionale da considerare il vero teatro per affrontare in modo adeguato l’attuale e le possibili future pandemie.

Il contributo di Articolo 99

Tenuto quindi conto dei limiti delle misure del Governo e delle osservazioni alle proposte del CNEL, si avanzano i seguenti temi per un necessario lavoro di approfondimento, precisando che nel loro insieme sono commisurati a politiche di adeguamento del sistema socio-sanitario in favore delle persone over65 anni.

  • Dimensione europea e internazionale – La dimensione europea e internazionale nelle politiche della sicurezza sanitaria in una prospettiva di rischio clinico/ambientale globale richiede di essere sottoposta ad attenta verifica. I tempi di reazione dell’OMS e le modalità di reazione dei diversi Stati si sono dimostrate del tutto inadeguate, così come si sta verificando nella ricerca del vaccino. Qui credo si debba richiedere un serio impegno dell’UE in particolare nella creazione di un sistema di allarme internazionale capace di agire in tempo reale. Non dimentichiamo che il Covid-19 non è il primo caso di pandemia e che nel passato si sono verificate altre situazioni che avrebbero richiesto maggiore tempestività e coordinamento. Inoltre, come suggerito da fonti autorevoli, va posta maggiore attenzione alla connessione tra dimensione socio-sanitaria e dimensione ambientale e, quindi, va data reale e tempestiva attuazione, garantendone il continuo monitoraggio, ai 17 obiettivi di sostenibilità dell’Agenda 2030.

  • Piano pandemico nazionale – La capacità di risposta ad un evento emergenziale, al di là della sua dimensione, sta nell’organizzazione preventiva in tempo di pace e nella flessibilità di adattamento/allocazione delle risorse disponibili per evitare il propagarsi degli effetti negativi. Nel caso specifico sarebbe stato possibile evitare errori evidenti (quali p. es., soprattutto nella Regione con maggiori focolai, tardivo lockdown o dislocamento dimessi nelle RSA, solo per dirne un paio). Sarebbe stato indispensabile poter disporre, con immediatezza, di modalità flessibili per gestire mezzi, attrezzature e personale sanitario là dove era prioritariamente necessario. Detto in altri termini l’assenza di un Piano Pandemico ha gravemente condizionato l’assetto organizzativo evidenziando numerose falle nel sistema che hanno avuto inesorabili drammatiche ripercussioni. I Piani Pandemici predispongono i Paesi ad affrontare al meglio le epidemie dal punto di vista precauzionale e organizzativo. In effetti l’Italia ha un Piano Pandemico, ma il Piano Pandemico nazionale Italiano risale al 2006, aggiornato nel 2010 e in ogni caso si tratta di un piano obsoleto.É inevitabile pertanto sollecitare una rapida stesura di un Piano Pandemico aggiornato e soprattutto adeguato alle caratteristiche delle nuove epidemie, che fissi nel contempo regole certe particolarmente in tema di dispositivi di protezione individuale la cui assenza, in una prima fase della recente epidemia, è stata la principale causa della rapida diffusione del virus e dei conseguenti decessi.

  • Longevità e rischio clinico epidemiologico – È del tutto evidente come la dimensione internazionale del rischio clinico-epidemiologico trova nell’Italia un punto di particolare criticità in considerazione del livello di longevità della sua popolazione. È questo un dato di fatto, lo stanno a dimostrare il numero dei morti over 65 a causa del Covid-19,su cui ancora non si è avviato la necessaria riflessione al fine di prefigurare comunque un sistema di allerta e sicurezza almeno nella dimensione nazionale. Come misura minima si dovrebbe realizzare un aggiornamento tecnologico che colleghi le varie banche dati in grado di fornire informazioni collaterali (condizioni di lavoro, ambientali, ecc.) utili ai fini sanitari in un sistema informatico nazionale con accesso differenziato per operatori sanitari, medici di famiglia, cittadini. Preoccupa quanto il Paese sia in ritardo su questo tema dimostrato tanto dal sistema di monitoraggio della pandemia, quanto dagli avvenimenti nelle RSA.

  • Governance – Il rapporto Governo centrale/Regioni/Comuni richiede di essere ridefinito dal punto di vista delle tempestività ed efficacia.Rimettere in discussione il Titolo V della Costituzione è una esigenza da tempo matura in via generale, che si è dimostrata urgentissima con l’esplosione dell’emergenza sanitaria e sociale. Quanto è avvenuto e sta avvenendo non solo compromette l’efficacia delle misure attivate ai diversi e confusi livelli istituzionale, ma compromette la salute dei cittadini, le prospettive di ripresa delle attività produttive, il rapporto di fiducia tra cittadini e istituzione con le inevitabili conseguenze sull’ordine democratico. Per non dire poi degli spazi enormi che si aprono all’infiltrazione mafiosa.

  • Resilienza del sistema – La resilienza del Sistema Sanitario Nazionale e del Sistema di Assistenza Sociale non può essere affidata alla “buona volontà”. Si tratta dei due punti in cui maggiormente si è manifestata la fragilità dei due pilastri del nostro welfare. Le ragioni per cui questo è avvenuto sono numerose e risalgono negli anni, comunque non è questa la sede per analizzarli. Quello che però si deve dire è che: occorre evitare il rischio dell’autarchia regionale; la rete di assistenza pubblica si è dimostrata eccessivamente fragile e pressoché inesistente quella privata; è necessario sviluppare forme assistenziali meno rigide e più velocemente riconfigurabili; in particolare occorre una radicale modifica del sistema delle ASL sul piano della strutturazione e della governance superando l’attuale concezione aziendalistica per sostituirla con quella di una realtà pubblica funzionale erogatrice di servizi essenziali di qualità; i LEA (Livelli Essenziali di Assistenza) devono essere meglio finalizzati alla misurazione della cogenza, esigibilità, qualità degli interventi e tempestività, dei servizi sanitari, integrandoli con i LEPs (Livelli Essenziali delle Prestazioni) al fine di una lettura integrata della condizione di benessere dei cittadini.Dovrebbe anche essere più evidenziato e potenziato il ruolo delle rappresentanze delle parti sociali che, specie attraverso gli Enti Bilaterali con l’utilizzo dei fondi interprofessionali, possono fornire un contributo non marginale nel campo dell’assistenza sanitaria e sociale integrativa di quella pubblica.

  • I presidi socio-sanitari – Dalla esperienza del Covid-19 è emerso con tutta chiarezza la debolezza del sistema dei presidi socio-sanitari territoriali. È questo un punto importantissimo da tempo messo in evidenza dalle organizzazioni sindacali e del volontariato che si interessano delle condizioni di vita degli anziani. Probabilmente se il sistema dei presidi socio- sanitare territoriali avesse raggiunto i livelli di presenza come sono previsti dalle leggi istitutive tanto del servizio sanitario nazionale, quanto dalla legge quadro sulla organizzazione del sistema integrato dei servizi sociali, il governo della pandemia sarebbe stato decisamente meno impattante. Qui credo ci sia da intervenire prevedendo che: il rapporto dei presidi ospedalieri/ presidi territoriali deve essere fortemente riequilibrato a favore del territorio; la coincidenza tra presidi sanitari e presidi sociali sia ormai da rendere effettiva su tutto il territorio nazionale; una migliore organizzazione e il potenziamento dei servizi per la domiciliarità è utile anche in caso di crisi sanitaria acuta in particolare per i non autosufficienti che sono i più esposti.

  • Il lavoro di cura e assistenza pubblico – Sfortunatamente c’è voluta la pandemia per scoprire quanto sia importante il lavoro di cura sanitaria e di assistenza sociale.

  • É auspicabile che questo serva di lezione a quanti assistevano con malcelata indifferenza alla emigrazione dei tanti giovani in cerca della opportunità di svolgere la loro professione e a coloro che inveivano contro gli addetti al pronto soccorso. L’assillo economicistico, che ha portato a tagli lineari, esternalizzazioni, privatizzazioni si è dimostrato devastante nel momento di crisi acuta. Occorre un piano di assunzioni che recuperi un idoneo rapporto tra personale e bisogni dei cittadini rivedendo attentamente i profili professionali in rapporto alla domanda territoriale: ad esempio è stupefacente come in un paese con tantissimi anziani non sia reso disponibile il servizio di geriatria così come avviene per la pediatria. Foresta gialla e verde – Natalia Goncharova – 1913

  • Caregiver – Da anni sono in discussione in Parlamento proposte per il riconoscimento del lavoro di cura dei caregiver. Si tratta di milioni di persone, soprattutto donne, che si dedicano a tempo pieno ad assistere un proprio familiare anche rinunciando ad un lavoro ed al reddito corrispettivo. Alcune Regioni (Emilia Romagna) già sono intervenute sulla materia. Considerando lo stato avanzato del confronto parlamentare e l’importanza dell’argomento, sarebbe opportuno che il si procedesse speditamente al varo di una normativa condivisa che disciplini il tema della sostenibilità e della tutela dell’impiego per chi vuole mantenere vivo un rapporto domiciliare con i propri cari.

  • Il lavoro di cura privato – In considerazione dell’importanza assunta dal lavoro di cura privato (badante) è ragionevole prendere in considerazione una sua evoluzione verso una rete di servizi anche privato-cooperativi capaci di fornire alle famiglie un servizio qualificato anche liberandole dalla incombenza di gestire i rapporti di lavoro. Una rete di servizi di questo genere si è sviluppata spontaneamente, ma per la grande parte, a sua volta, gestita sulla base di rapporti di lavoro irregolari. É necessario fare in modo che tutto il processo, sia nel rapporto di lavoro mediato che in quello diretto, avvenga nel massimo della trasparenza a garanzia delle famiglie e dei lavoratori coinvolti.Una riforma dell’indennità di accompagnamento potrebbe contribuire a questo processo.

  • Residenze sanitarie – Quanto avvenuto nelle RSA sta a dimostrare tutta l’inadeguatezza di questo modello di accoglienza delle persone più fragili della nostra società. Al di la delle vicende giudiziarie quello che interessa mettere in luce è l’inadeguatezza del loro modello organizzativo che non solo è di poco gradimento per gli ospiti, ma anche molto costoso sia per le famiglie che per le casse pubbliche. Altri modelli sono possibili solo che lo si voglia. In particolare sviluppando forme di abitazione o coabitazione protetta a patire dal patrimonio residenziale pubblico.

  • Condizione abitativa – La stragrande maggioranza degli anziani italiani vivono in case di proprietà. La cosa è certamente positiva, ma si deve osservare che queste case sono in genere eccessivamente grandi per persone sole, prive di servizi adeguati alle loro esigenze (mancanza di ascensore), onerose per le spese di manutenzione e gestione, tendenzialmente emarginanti per persone con limiti di mobilità. L’esperienza di alcuni paesi europei dimostra che modelli residenziali per anziani con una adeguata rete di assistenza territoriale-domiciliare sono la soluzione ottimale per le persone, le famiglie la collettività e le finanze pubbliche. Assumere questa linea di intervento tesa all’adeguamento del patrimonio immobiliare degli anziani si configura come una politica capace di dare una pluralità di risposte positive a numerose esigenze del Paese.

  • Innovazione tecnologica – Il ritardo nell’innovazione tecnologica sia ospedaliera e sia territoriale/domiciliare ha fatto sentire tutto il suo peso in queste settimane di emergenza. Il problema, che ha toccato picchi gravissimi nel caso degli apparati per la respirazione, è molto più pervasivo di quanto può apparire. Qui è necessario un progetto organico d’investimenti finalizzati all’ ammodernamento di vecchie strutture o alla costruzione di nuove, tenendo conto di criteri di duttilità capaci di fronteggiare l’insorgere di esigenze eccezionali. Analogo intervento sistematico di aggiornamento su tutto il territorio dovrebbe riguardare la dotazione di attrezzature, soprattutto diagnostiche. Inoltre dovrebbe essere messo all’ordine del giorno un programma di telemedicina e teleassistenza a supporto delle politiche per la domiciliarità. Importanti sono le economie che ne potrebbero derivare per il SSN.A questo riguardo è bene evidenziare che gli anziani in solitudine e costretti nelle proprie abitazioni potrebbero in qualche modo essere condizionati e non rivolgersi al pronto soccorso o ad altre strutture sanitarie anche in caso di reale necessità. Questo comportamento rischia di creare un “sommerso” sanitario di cui non si hanno ancora dati precisi e che può emergere solo attivando efficaci strumenti alternativi di contatto medico-paziente sfruttando le metodologie, come detto, della telemedicina e l’impiego di tecnologie innovative domotiche e robotiche che permettono il monitoraggio e la cura a distanza dei pazienti. Gli anziani non sono oggi preparati a sfruttare pienamente le tecnologie: in questo ambito importante è il ruolo dei caregivers e di ogni altro familiare che possono accompagnare e aiutare l’anziano ad accostarsi alla tecnologia in modo costruttivo e attivo e non passivo come attualmente per lo più viene proposto anche dai media televisivi.

  • Managerialità – Altra criticità emersa con l’emergenza Covid-19 è l’evidenza di un deficit di capacità organizzativa e gestionale che, se accentua il grande merito e talora l’eroicità dei medici e degli operatori sanitari, mostra pecche e limiti sui risultati. Un rilievo, questo, determinante soprattutto se si arrivasse a riprogettare il sistema socio- sanitario in una visione più integrata, tecnologicamente più evoluta e più uniforme sull’intero territorio nazionale. I buoni medici per fortuna li abbiamo, ma non possiamo caricarli di compiti impropri; mancano, o comunque sono carenti, all’interno del sistema figure con spiccate competenze manageriali in grado di organizzare e gestire al meglio le risorse umane e materiali.

  • Volontariato – Da ultimo non si può non sottolineare il ruolo importante svolto dalle organizzazioni del volontariato. Questo deve essere di sollecitazione affinché vengano rimossi tutti quegli ostacoli che limitano il dispiegamento pieno del contributo del volontariato in particolare prevedendo, in caso di necessità, canali per un rapporto più diretto ed efficace con gli organismi decisionali;

Infine non sfugge la necessità di risorse per realizzare quanto detto. A fronte di questa ineludibile esigenza, che in prospettiva trova una risposta adeguata nel meccanismo di sostegno in corso di definizione da parte della Commissione Europea, il dibattito che si sta svolgendo intorno alla opportunità di utilizzare il Meccanismo europeo di stabilità (MES) è a dir poco viziato da opportunismo politico. Accertato che il prestito sarà gravato dalle sole condizionalità tendenti a vincolarne l’impegno sul fronte della risposta agli effetti socio-sanitari del coronavirus, non si vede perché non utilizzare quelle risorse che verrebbero a costare molto meno del ricorso ad altri canali di finanziamento

Governo e istituzioni

 “Integrazione socio-sanitaria, cure di prossimità, digitalizzazione e valorizzazione professioni”. Ecco le linee guida del Governo per il Recovery Plan

Inviato dal Governo ai presidenti di Camera e Senato il documento che traccia la rotta per l’accesso alle risorse europee.

“Il documento – scrive Conte nella lettera di accompagnamento – definisce in via preliminare gli obiettivi strategici di lungo termine e le aree d’intervento su cui si articolerà il Piano nazione di ripresa e resilienza che l’Italia dovrà presentare alla Commissione Ue nei prossimi mesi una volta completato l’iter dei regolamenti attuativi del Recovery Plan”.

Le linee guida individuano sei missioni:

  1. Digitalizzazione, innovazione e competitività del sistema produttivo
  2. Rivoluzione verde e transizione ecologica
  3. Infrastrutture per la mobilità
  4. Istruzione, formazione, ricerca e cultura
  5. Equità sociale, di genere e territoriale
  6. Salute

Per la missione che riguarda la Salute, il PNRR indirizzerà “risorse per il rafforzamento della resilienza e della tempestività di risposta del sistema sanitario alle patologie infettive emergenti gravate da alta morbilità e mortalità, nonché ad altre emergenze sanitarie”.

Questo obiettivo sarà raggiunto innanzitutto attraverso “lo sviluppo della sanità di prossimità e una più forte integrazione tra politiche sanitaria, politiche sociali e ambientali al fine di favorire un’effettiva inclusione sociale. Si investirà nella digitalizzazione dell’assistenza medica ai cittadini, promuovendo la diffusione del fascicolo sanitario elettronico e la telemedicina. Uno specifico investimento sarà prontamente avviato nell’ambito della cronicità e delle cure a domicilio, per superare le attuali carenze del sistema delle Residenze Sanitarie Assistenziali e dei presidi sanitari nelle aree rurali e marginali del Paese, in conformità alla Strategia Nazionale delle Aree Interne”.

Un contributo importante sarà offerto anche dal “sostegno alla ricerca medica immunologica e farmaceutica. Anche nel settore dell’assistenza medica e dei servizi di prevenzione saranno introdotte tecnologie digitali. In questo contesto le politiche di valorizzazione del personale sanitario assumono un’importanza cruciale”.

Fonte: Quotidiano Sanità

 

Speranza: l’impegno è diventare primi in Ue per assistenza domiciliare

 

ROMA – “Basta cittadini che devono inseguire il sistema sanitario nazionale (Ssn), il territorio deve essere un piano essenziale, la casa deve essere il primo luogo di cura. Grazie ai soldi del decreto Rilancio gli over 65 con assistenza domiciliare passano dal 4 al 6,7%, la media dei Paesi Ocse è al 6. Con una legge passiamo da essere 2 punti sotto a 0,7 sopra la media Ocse. I migliori modelli in Europa sono la Svezia e la Germania che sono al 9. L’impegno di questo Governo è diventare il primo Paese d’Europa per assistenza domiciliare, arrivare oltre il 10%”. Lo ha detto il ministro della Salute, Roberto Speranza nel corso della conferenza stampa a Bari sul modello di sanità pugliese.

“Questo è il primo grande tema su cui lavorare e abbiamo una congiuntura favorevole, perché possiamo immaginare un riforma del Ssn che sarà espansiva perché l’Europa ha capito e ha cambiato strada – ha aggiunto – penso al Recovery Fund e noi dobbiamo sfruttare questa congiuntura. Non basteranno i soldi che sono la premessa, insieme dobbiamo fare le riforme”.

Fonte: Redattore Sociale

Recovery Fund: ecco i progetti del Ministero della Salute

Riforma della sanità territoriale con nuovi standard e l’istituzione della Case di comunità con i medici di famiglia, interventi per l’ammodernamento degli ospedali, riforma della sanità digitale e degli Irccs. E ancora, nuovi presidi per degenze temporanee, investimenti in salute mentale e anche garantire che ad ogni laureato in medicina sia garantita una borsa di specializzazione.

Ma non solo, proposta anche una riforma delle Rsa che durante il Covid hanno mostrato la loro debolezza. E poi misure e risorse per il contrasto della povertà e per rafforzare la medicina scolastica, contrasto alla mobilità sanitaria, riforma dell’emergenza-urgenza e potenziamento del Fse. Sono queste solo alcune delle proposte presentate dal Ministero della Salute per accedere alle risorse messe in campo dall’Unione europea con il Recovery Fund. In totale stiamo parlando di oltre 20 progetti per un ammontare complessivo di circa 68 miliardi da realizzarsi nei prossimi 5 anni.

Fonte: Quotidiano Sanità

 

 

Quel tesoro di Fund

 

La portata storica dell’accordo sul Recovery fund e il bilancio europeo 2020/2027 è unanimemente riconosciuta e a testimoniare la portata dell’evento ci sono anche quattro giorni e quattro notti di trattative tra i 27 capi di Stato e di governo dell’Unione, con una serie di testa a testa a geometrie variabili e un lungo fronteggiarsi di Italia e Olanda. È stato quindi confermato che il Recovery fund, frutto di un’intesa tra Francia e Germania, avrà una dotazione di 750 miliardi di euro, ma con una riduzione dei sussidi, rispetto all’ipotesi precedente, da 500 miliardi a 390 miliardi di euro per i Paesi colpiti dalla pandemia da Covid-19. Il bilancio è stato fissato a 1.074 miliardi per sette anni a partire dal 2021.

l’Italia è riuscita, tra le altre cose, a spuntare 30 miliardi in più rispetto alla prima proposta, perché il piano destina al nostro Paese poco meno di 209 miliardi di euro: 81,4 miliardi come sussidi a fondo perduto e 127,4 miliardi come prestiti. Siamo quindi di fronte a un importante aumento della somma che andrà restituita a tassi molto bassi e a condizioni agevolate. I Paesi frugali, quelli contro i quali l’Italia ha cercato di fare muro, sono riusciti a ottenere gli sconti sulla contribuzione del bilancio europeo e un aumento dei rimborsi, che per la Danimarca sono di 322 milioni di euro l’anno, quasi due miliardi per l’Olanda, 565 milioni all’Austria e poco più di un miliardo alla Svezia.


Fonte: Collettiva

“Puntare su politiche coordinate e integrazione tra ospedale e territorio”. Arriva il nuovo Piano nazionale di prevenzione 2020-2025.

“Sostenere il riorientamento di tutto il sistema della prevenzione verso un ‘approccio’ di Promozione della Salute” con l’obiettivo di favorire “il collegamento e l’integrazione tra le azioni previste da leggi, regolamenti, Piani di settore” perché “l’emergenza sanitaria dovuta alla pandemia da COVID-19 ha mostrato che gli interventi di Sanità Pubblica sono fondamentali per lo sviluppo economico e sociale di un Paese e che la salute di tutti dipende dalla salute di ciascuno”. Sono queste le linee guida del nuovo Piano Nazionale di Prevenzione 2020-2025 del Ministero della Salute e che sarà anche posto all’ordine del giorno della prossima Conferenza Stato-Regioni. Il nuovo Piano, un documento corposo di circa 200 pagine, “rappresenta la cornice comune degli obiettivi di molte delle aree rilevanti per la Sanità Pubblica”.
Il Piano indica poi cinque “macro obiettivi”: Malattie croniche non trasmissibili; Dipendenze e problemi correlati; Incidenti domestici e stradali; Ambiente, clima e salute; Malattie infettive prioritarie e per ognuno di questi prevede dettagliate azioni di sensibilizzazione individuale e sociale. “Fondamentali nella governance – prosegue il Piano – della prevenzione, per tutti i livelli (centrale, regionale e locale), sono il monitoraggio e la valutazione del PNP e dei PRP (Piani regionali della prevenzione) per misurarne l’impatto sia nei processi sia negli esiti di salute”.
Entro il 31 dicembre 2020, le Regioni e le Province autonome recepiscono la presente Intesa e adottano i PRP con appositi Atti.
Entro il 31 marzo 2021, il Ministero valuta la pianificazione regionale, anche richiedendo eventuali integrazioni alle Regioni, e conclude il processo di valutazione dei PRP ai fini della certificazione per l’anno 2020.

Fonte: Quotidiano Sanità

Organizzazioni sociali e volontariato

Lo Spi scrive a Speranza: vogliamo essere protagonisti della riforma sociosanitaria

Il sindacato dei pensionati della Cgil rivendica la sua partecipazione alla discussione sulla riforma delle Rsa e alla Commissione che si occuperà della legge nazionale sulla non autosufficienza. Quella legge sarà il frutto di anni di battaglie del sindacato.

“Abbiamo molto apprezzato l’operato del Ministro Speranza in questi mesi – ha scritto sul suo profilo Facebook il segretario generale dello Spi Cgil, Ivan Pedretti – si è trovato ad affrontare una sfida enorme e lo ha fatto con serietà e competenza. È importante che ora pensi a come riformare il sistema sociosanitario e quello delle Rsa, visto tutto quello che è successo. A lui però chiediamo di coinvolgere anche le organizzazioni sindacali che rappresentano milioni di persone anziane e migliaia di uomini e di donne che vivono in quelle strutture”.

Il segretario generale dello Spi si riferisce in particolare all’annuncio del ministro Speranza dell’istituzione di una commissione composta da varie personalità per progettare la riforma dell’assistenza sanitaria e sociosanitaria per la popolazione anziana nel nostro paese.

Fonte: Collettiva

 

 

 

Auser sottoscrive l’appello internazionale di HelpAge per i diritti degli anziani

Il presidente nazionale Auser Enzo Costa ha sottoscritto l’appello sui diritti degli anziani che l’organizzazione internazionale HelpAge “Vecchiaia: più anni, uguali diritti ” ha presentato all’opinione pubblica in occasione del Festival cinematografico di Venezia. HelpAge vuole garantire una ripresa che tenga unite e solidali le generazioni e chiede ai rappresentanti del mondo della cultura e delle arti, a istituzioni, aziende, associazioni, comunità e a tutti i membri della società civile, di firmare l’appello che è già stato sottoscritto da diversi artisti, alcuni presenti al Festival: Alba Rohrwacher, Alice Rohrwacher, Saverio Costanzo, Isabella Sandri, Giuseppe Gaudino, Nanà Cecchi, Christian Raimo, Carlo A.Sigon, Riccardo Milani.

Il COVID-19 ha colpito le persone anziane in modo sproporzionato e le risposte alla pandemia hanno portato in molti casi a morti evitabili e all’aumento della discriminazione e della povertà. Questa crisi ha dimostrato quanto sia importante proteggere i diritti delle persone più longeve, perché ci siano pari opportunità di sopravvivere, di vivere con dignità e di continuare a contribuire alla vita delle nostre comunità. Mentre progettiamo la ripresa delle nostre società, dovremmo quindi mirare a un mondo equo in cui tutti, indipendentemente dalla loro età, siano rispettati e trattati con dignità.

“Ci rivolgiamo al Governo Italiano – si legge nell’appello – affinché sostenga e promuova attivamente una Convenzione delle Nazioni Unite sui Diritti degli Anziani in tutte le sedi competenti, in particolare l’OEWG on Ageing e la Commissione Europea”.

Per firmare l’appello: www.helpage.it

Anziani, nasce in Emilia-Romagna il Comitato regionale delle vittime di Covid

I familiari degli anziani morti per Covid nelle Rsa dell’Emilia-Romagna e gli stessi operatori delle case di riposo uniscono le forze. “Temiamo che la situazione possa esplodere nuovamente”, spiegano gli stessi familiari, insieme al Codacons. Il Covid-19 in Emilia-Romagna, sostengono, ha “portato in luce annose problematiche che riguardano i servizi alla persona e il loro abbandono progressivo, anche con esternalizzazioni, da parte del servizio sanitario nazionale, con l’assenza della medicina territoriale, di una rete assistenziale integrata e di pratiche in grado di assicurare il diritto alla salute, alla cura e assistenza e al rispetto per l’autodeterminazione e dignità delle persone”. La Regione, accusano i familiari e il Codacons, “ha fino ad ora manifestato una mancanza di volontà nel mettersi in discussione, negando l’istituzione di una commissione d’inchiesta”. I cittadini chiedono dunque di “partecipare a una radicale riforma e riqualificazione dei servizi alla persona, con proposte concrete anche per la tutela dei diritti e della dignità delle persone maggiormente bisognose di assistenza e non autosufficienti. E pretendiamo chiarezza, verità e giustizia sulla strage di anziani all’interno delle Cra e Rsa, affinché non si dimentichi e non si ripeta”.
Fonte: Redattore Sociale

“Rsa, la strage era evitabile” L’inchiesta dei sindacati

Se qualcuno avesse avuto dubbi sulla necessità di ripensare il sistema, ci ha pensato l’emergenza Covid ha dissiparli. Interessante lo studio di Spi Cgil, Fnp Cisl e Uilp Uil sull’impatto dell’epidemia in Italia, e in Piemonte. Qualche dato. L’incremento maggiore della mortalità generale tra le persone con più di 65 anni nelle 20 Regioni italiane si è verificato in quelle più colpite dal virus: in Piemonte la mortalità tra la popolazione over 65 è aumentata del 40%. Il discorso, con le variazioni percentuali del caso, interessa tutte le province piemontesi: quelle che hanno presentato un aumento di decessi inferiore sono le più a ovest, non confinanti con la Lombardia. Nella provincia di Alessandria, in particolare, l’incremento più marcato (75,7%) ha riguardato la fascia di età più giovane, tra i 65 e i 74 anni. Altro dato: la mortalità è aumentata molto di più nei Comuni in cui è presente almeno una struttura per anziani. «In base alle nostre indagini nelle Rsa le morti per Covid sono state almeno un migliaio – spiegano Graziella Rogolino (Cgil), Francesco Guidotti (Cisl) e Lorenzo Cestari (Uil).

Fonte: La Stampa


Meno tasse e legge sulla non autosufficienza

Abbassare le tasse anche ai pensionati, aumentare il loro potere d’acquisto e definire una volta per tutte una legge quadro nazionale sulla non autosufficienza. I sindacati Spi-Cgil, Fnp-Cisl e Uilp-Uil tornano alla carica con le loro richieste e si rivolgono al governo con tre lettere indirizzate al premier Giuseppe Conte e ai Ministri del Lavoro Nunzia Catalfo, dell’Economia Roberto Gualtieri e della Salute Roberto Speranza per chiedere di avviare quanto prima un confronto su temi di estrema rilevanza per la vita di milioni di pensionati e di persone anziane.
I sindacati evidenziano in particolare le criticità del sistema fiscale italiano, tra le quali un’evasione e un’elusione tra le più alte d’Europa, e rilanciano l’assoluta necessità di ridurre le tasse sui redditi da pensione. Inoltre, secondo Spi, Fnp e Uilp, non è più rinviabile, dopo l’emergenza Covid, la convocazione di un tavolo sulla non autosufficienza per garantire livelli essenziali sanitari e di assistenza uguali in tutto il Paese. Sulle pensioni infine la richiesta è quella di riprendere una discussione, interrotta bruscamente dalla diffusione della pandemia, sul recupero e sull’aumento del potere d’acquisto dei pensionati.

Fonte: Collettiva

Osservatorio internazionale

Covid. Appello di 101 tra Premi Nobel ed ex capi di Stato per rendere il vaccino gratuito

Centouno leader, ex capi di Stato e di governo, premi Nobel e attori hanno firmato un appello, promosso dal premio Nobel per la Pace Muhammad Yunus, affinché “governi, fondazioni, filantropi e imprese sociali si facciano avanti per produrre e distribuire i vaccini in tutto il mondo gratuitamente”. Nell’appello si rimarca come “Governi, fondazioni, organizzazioni finanziarie internazionali come la Banca mondiale e le banche di sviluppo regionale dovrebbero elaborare dettagli su come rendere i vaccini disponibili gratuitamente. Facciamo appello a governi, fondazioni, organizzazioni di beneficenza, individui filantropici e imprese sociali (vale a dire, le imprese create per risolvere i problemi delle persone senza trarne alcun profitto personale) di farsi avanti per produrre e / o distribuire i vaccini ovunque il mondo.  Invitiamo tutte le entità sociali, politiche e sanitarie a riaffermare la nostra responsabilità collettiva per la protezione di tutte le persone vulnerabili legate a povertà, discriminazione, genere, malattia, perdita di autonomia o funzionalità o età”.
Altra questione sollevata dall’appello è quella che riguarda la trasparenza per quanto riguarda gli investimenti nella ricerca e il ritorno economico. “La ricerca di un vaccino è un processo lungo. Il tempo stimato per lo sviluppo di un vaccino COVID-19 è di circa 18 mesi o meno, il che sarebbe un record di velocità assoluta. Questa ricerca necessita di immensi investimenti economici. Molti laboratori di ricerca del settore privato impegnati nella ricerca sui vaccini si aspettano un ritorno dai loro investimenti. Dobbiamo elaborare una procedura inequivocabile per determinare quale sarebbe un livello equo di questo ritorno in cambio della diffusione del vaccino di dominio pubblico. Per questo motivo, le informazioni fornite dal settore privato, dagli scienziati e dalle autorità devono essere tempestive, accurate, chiare, complete e trasparenti. I risultati della ricerca dovrebbero essere di dominio pubblico, rendendoli disponibili a qualsiasi struttura produttiva che si impegna a operare sotto stretto controllo normativo internazionale e solo a tali strutture”.
I 101 firmatari infine esortano “l’Organizzazione mondiale della sanità a progettare un piano d’azione mondiale per il vaccino COVID-19. Facciamo appello a loro per istituire un comitato internazionale responsabile del monitoraggio della ricerca sui vaccini e per garantire la parità di accesso al vaccino per tutti i paesi e tutte le persone entro un periodo di tempo prestabilito annunciato pubblicamente. Facciamo appello a tutti i leader mondiali, il Segretario generale delle Nazioni Unite, il Direttore generale dell’Organizzazione mondiale della sanità, i leader religiosi, i leader sociali, i leader morali, i leader dei laboratori di ricerca, le aziende farmaceutiche e i leader dei media a unirsi per assicurarsi che nel caso del vaccino COVID-19 abbiamo un consenso globale per un accesso universale gratuito, molto più avanti della sua produzione e distribuzione”.

Fonte: Quotidiano Sanità

Long-Term Care e diritti degli anziani in Europa: Italia debole

Lo European Centre for Social Welfare Policy and Research ha pubblicato, nel luglio 2019, “From disability rights towards a rights-based approach to Long-term care in Europe. Building an index of rights-based policies for older people” i risultati del primo studio europeo finalizzato a monitorare e valutare le politiche dei governi e i risultati delle politiche nel sostenere i diritti delle persone anziane in relazione ai loro bisogni di assistenza e cure a lungo termine. I due strumenti utilizzati per l’analisi scaturiscono da un approccio basato sui diritti umani: l’Indice dei diritti delle persone anziane (Rights of Older People Index -ROPI) e il Quadro di valutazione sugli indicatori di risultato2. Questo studio evidenzia quanto risulti oggi necessario esaminare come i diritti delle persone anziane, con esigenze di assistenza e sostegno, possano essere protetti e fatti valere in modo più efficace attraverso l’applicazione di un approccio basato sui diritti.

Nei risultati complessivi per i diritti delle persone anziane la Svezia raggiunge il punteggio indice più alto; la Finlandia si posiziona al secondo posto, leggermente in vantaggio rispetto a Slovenia, Irlanda e Austria. La Polonia ha il punteggio più basso. È interessante notare che non vi è alcun raggruppamento geografico evidente nei risultati della classifica generale.

Nei risultati complessivi per il ROPI (Indice dei diritti delle persone anziane) l’Italia mostra un punteggio medio di 1.8, collocandosi all’11° posto su 12 dei paesi indagati. Lo studio evidenzia le debolezze e le criticità dell’Italia nella maggior parte delle aree esaminate dallo strumento, strettamente connesse ai diritti all’assistenza da parte delle persone anziane non autosufficienti.

Più precisamente, l’Italia evidenzia le peggiori performance al ROPI nei domini inerenti la libertà di scelta (specificatamente alla possibilità di scelta dei gestori di assistenza e a tutto il tema delle Disposizioni Anticipate di Trattamento), il mantenimento dei legami familiari, soprattutto in riferimento a leggi che favoriscano il mantenimento dei legami familiari anche durante l’assistenza e le politiche di informazioni sui diritti delle persone anziane e sulla tutela degli stessi. Non solo, anche le aree inerenti la tutela da abusi e maltrattamenti, la libertà di pensiero e di espressione, il livello di salute garantito, con preciso riferimento alle politiche di Long-Term Care e la garanzia di un adeguato standard di vita, soprattutto in relazione al supporto abitativo protetto, risultano per l’Italia tutte aree deboli al ROPI.

Fonte: I Luoghi della Cura

 

Long term care. Ocse: “Covid ha messo in luce i problemi strutturali

“La pandemia da Covid 19 ha messo in luce tutti i problemi del settore dell’assistenza a lungo termine (LTC). Le persone anziane e gli operatori sanitari sono stati colpiti in modo sproporzionato dalla pandemia. Molti paesi dell’OCSE hanno adottato misure per contenere la diffusione dell’infezione e mitigarne l’impatto sui gruppi vulnerabili. Tuttavia, la crisi sanitaria sta mettendo in evidenza ed esacerbando problemi strutturali preesistenti nel settore dell’assistenza a lungo termine (LTC). Gli operatori sanitari sperimentano condizioni di lavoro difficili. Inoltre, vi sono disallineamenti di competenze, scarsa integrazione con il resto dell’assistenza sanitaria e standard di sicurezza inadeguati o scarsamente applicati. In prospettiva, sono necessari maggiori investimenti nella forza lavoro e nelle infrastrutture LTC per garantire livelli adeguati di personale qualificato, con condizioni di lavoro dignitose e priorità nella qualità delle cure e sicurezza”. È questo il richiamo che fa l’Ocse agli stati in un suo recente documento ad hoc sul tema.
L’Organizzazione internazionale evidenzia come “la maggior parte dei decessi per COVID ‑ 19 è tra gli anziani, in particolare quelli di età superiore a 80 anni che rappresentano il 50% di quelli che ricevono LTC”.

Fonte: Quotidiano Sanità

Osservatorio dell’innovazione

Telemedicina e cronicità: imparare dalla lezione Covid-19

Durante il webinar “Cronicità e telemedicina. La lezione di Covid-19”, realizzato da Motore Sanità, grazie al contributo incondizionato di Daiichi-Sankyo, esperti di tutta Italia si sono confrontati per porre le basi per rendere finalmente concreto l’utilizzo della telemedicina in Italia.
“La telemedicina, cioè la prestazione di servizi di assistenza sanitaria mediante le tecnologie informatiche crea una rete telematica fra medico, infermiere, malato e caregiver. La sua diffusione nel contesto clinico ha fatto progressi limitati per molti anni. Oggi le problematiche connesse con Covid-19 hanno posto la telemedicina al centro dell’arena, per la sua capacità di raggiungere pazienti remoti colpiti da Covid-19, offrendo loro supporto, consulenze esperte, ospedalizzazione domiciliare. Allo stesso tempo offre ai tanti pazienti fragili che devono eseguire controlli o adeguamenti terapeutici la possibilità di essere seguiti appropriatamente evitando spostamenti e il connesso rischio di contagio. Covid-19 ha colpito molto duramente il nostro mondo, ma certamente ha consentito che le possibilità connesse con la medicina digitale emergessero (finalmente!) in tutta la loro potenza operativa, consentendo anche in prospettiva una riformulazione di percorsi e processi di cura che tengano conto di tutto il supporto del digitale”, ha dichiarato Gianfranco Gensini, Presidente Onorario della società Italiana di Salute Digitale e Telemedicina.

“L’emergenza Covid-19 ha costretto pazienti e sanitari a utilizzare moltissimo le tecnologie digitali per improvvisare nuove modalità allo scopo di restare in contatto gli uni con gli altri anche a distanza. In Italia siamo passati da circa 450 esperienze in Telemedicina attivate nel SSN in quattro anni (dal 2014 alla fine del 2017), a un centinaio di nuovi servizi in tre mesi. In pratica abbiamo fatto in quei tre mesi quello che prima veniva fatto in un intero anno. Tuttavia, l’improvvisazione utile in emergenza non può costituire il modello di riferimento per sviluppare un sistema di servizi in Telemedicina uniformi su tutto il territorio nazionale. La Telemedicina è Medicina e come tale va studiata, applicata e organizzata. In Telemedicina si compiono atti medici e attività assistenziali di cui i sanitari sono pienamente responsabili, anche se a distanza. Il fatto che un software o un dispositivo medico funzionino bene non garantisce affatto l’efficacia clinica e la sicurezza sanitaria della prestazione. Questo perché non è il singolo oggetto che conta in tale valutazione, ma il modo in cui software e dispositivi digitali sono combinati tra loro all’interno di un’adeguata procedura medica. Con la Telemedicina si possono superare molti limiti dell’attuale sistema sanitario e si possono costruire migliori servizi ora e nuove terapie nel futuro. Occorre farlo senza ingenui entusiasmi, ma con seria ricerca medica”, ha detto Francesco Gabbrielli, direttore del Centro nazionale per la Telemedicina e le nuove Tecnologie assistenziali Istituto superiore di sanità.

Fonte: Redattore Sociale


Depressione degli anziani costretti in casa, l’efficacia della telemedicina

Gli anziani depressi e costretti in casa possono giovarsi di interventi di telemedicina condotti da counselor volontari, debitamente formati. Uno studio dell’Università del Texas ha valutato 277 pazienti, con un’età media di 67,5 anni, la maggior parte di sesso femminile, avviandoli a diversi percorsi terapeutici realizzati in video-conferenza. Particolarmente efficaci si sono rivelati il “problem solving” e la terapia di attivazione comportamentale.
Le visite “da remoto” effettuate da counselor volontari possono migliorare la depressione negli anziani costretti in casa, anche se non sono efficaci quanto le sedute con medici specializzati. Questa evidenza emerge da uno studio condotto dalla Steve Hicks School of Social Work dell’Università del Texas di Austin.
Dei 277 partecipanti, 90 sono stati assegnati a caso a ricevere una terapia di attivazione comportamentale in video conferenza (tele-BA), 93 sono stati randomizzati al “problem solving” in video conferenza (tele-PST) e 94 sono stati assegnati a un gruppo di controllo dell’attenzione (AC), che ha ricevuto telefonate di supporto. I partecipanti nei bracci attivi dello studio hanno ricevuto un’ora di seduta in telemedicina a settimana per cinque settimane, mentre il gruppo di controllo ha ricevuto una telefonata di 30-45 minuti a settimana per cinque settimane. L’outcome principale per i due gruppi attivi era una riduzione pari o superiore al 50% dei punteggi Hamilton Depression Rating Scores.Tutti i partecipanti erano depressi da almeno due anni e alcuni presentavano depressione persistente da 20 anni.
“Questo studio arriva al momento giusto”, commenta Susan Lehmann, professoressa associata e direttrice del reparto di psichiatria geriatrica e neuropsichiatria presso la Johns Hopkins University School of Medicine di Baltimora, “perché siamo nel bel mezzo della pandemia e la maggior parte delle cure di salute mentale non ospedaliere vengono fornite attraverso la telemedicina”.

Fonte: Quotidiano Sanità

 

Un documento dell’OMS sull’accesso alle tecnologie assistive

L’OMS ha pubblicato un nuovo documento sul miglioramento dell’accesso alle tecnologie assistive (AT) che mette in evidenza le sfide nell’accesso all’AT e offre azioni concrete per migliorare cinque aree chiave: le AT devono essere centrate sulle persone, le politiche adottate, i prodotti, la fornitura, il personale dedicato. Le tecnologie assistive  stanno cambiando  la vita delle persone  disabili; l’accesso a  queste tecnologie è un diritto umano  fondamentale in rapido aumento con l’invecchiamento della popolazione a livello globale. Tuttavia la tecnologia assistiva è spesso ignorata dalle agende globali sulla salute e lo sviluppo, portando a un limitato e frammentato investimento.
In risposta a questa preoccupazione, la 72° Assemblea mondiale per la salute ha adottato la risoluzione (WHA71.8) per sollecitare gli Stati membri per una maggiore attenzione e investimento su questa materia in coerenza con gli Obietivi di siluppo sostenibile e la Convenzione sui diritti delle persone con Disabilità.
Il documento è destinato ai responsabili politici di qualsiasi ministero coinvolto nella progettazione di politiche e programmi sulle tecnologie assistive (come i ministeri di salute, finanza e assistenza sociale), in particolare quelli coinvolti nella progettazione di programmi di copertura sanitaria universale.

Fonte: Rete Caad

Indagini, studi, ricerche

Rapporto ISTAT sull’invecchiamento attivo: l’Italia tra i Paesi europei meno attrezzati

La progressiva attenzione sul fenomeno dell’invecchiamento della popolazione a livello internazionale ha stimolato molti paesi ad adottare politiche per l’invecchiamento attivo e ha portato alla costruzione dell’Active ageing index (Indice dell’invecchiamento attivo) a cui l’ISTAT ha collaborato insieme ai partner internazionali (Unece e Commissione europea). Si tratta di un indicatore composto principalmente da quattro componenti, ovvero il tasso di occupazione degli over 55, la partecipazione nella società, le attività di cura di bambini e adulti da parte degli anziani, la loro partecipazione ad attività politiche o di volontariato. È uno strumento finalizzato a monitorare i risultati nei diversi ambiti, utile soprattutto ai politici e agli amministratori pubblici per la valutazione e l’adozione di politiche adeguate di sostegno all’invecchiamento attivo. Tale indice è stato declinato, per quanto riguarda il nostro Paese, per genere e regione, abbracciando un periodo che va dal 2007 al 2018.

A livello sovranazionale i risultati mostrano una divisione netta tra Paesi dell’Europa del Nord e Continentale e Paesi del Sud e dell’Est Europa. I primi raggiungono i punteggi più alti nell’indice di invecchiamento attivo, segno che hanno adottato politiche e interventi in questa direzione, mentre i paesi mediterranei e dell’Europa orientale presentano risultati dai quali emerge che non sono ancora pronti ad affrontare adeguatamente il crescente invecchiamento della popolazione.

L’Italia nel decennio considerato, dopo un iniziale miglioramento conseguito nel 2012 rispetto al 2008, peggiora e scende di posizione nella graduatoria. Le differenze principali non sono ascrivibili solamente al diverso grado di sviluppo dei paesi, ma sono anche il frutto del combinato effetto di politiche discriminatorie, come quelle afferenti al genere o basate sull’età, che riguardano trasversalmente tutte le sfere dell’invecchiamento attivo. Soprattutto, dipendono dal sistema valoriale e culturale, creatosi attraverso le diverse esperienze storiche e politiche, che determina gli assetti istituzionali dei paesi e quindi differenti sistemi di protezione sociale.

Tra i diversi paesi europei vi sono differenze molto marcate nella composizione della spesa sociale, frutto ovviamente dei diversi sistemi sociali e dei differenti rischi e benefici che vengono coperti.

Nei Paesi del Nord Europa, in particolare quelli scandinavi, prevale un modello più universalistico, in cui le prestazioni contro la disoccupazione e le politiche attive sul mercato del lavoro rivestono un ruolo essenziale al fine di ridurre i fenomeni di povertà ed emarginazione sociale: ciò si riflette in alti tassi di occupazione per tutte le classi di età, comprese quelle mature, per entrambi i generi. L’altro tratto distintivo è una maggiore quota della spesa sociale destinata alla fornitura di beni e servizi forniti ai cittadini. Nei paesi dell’Europa Meridionale, tra i quali è inserita a pieno titolo l’Italia, prevale un modello di welfare mediterraneo di tipo “familista”, dove la famiglia è la principale fornitrice di cura e assistenza ai propri componenti e lo Stato assume un ruolo marginale e residuale, a fronte di una crescita del terzo settore (privato sociale).

Poggiando sul ruolo di ammortizzatore sociale assegnato alla famiglia, il welfare italiano destina una quota minoritaria della spesa sociale alla fornitura di beni e servizi, e una maggioritaria come trasferimenti in denaro, in cui la spesa pensionistica assume una dimensione rilevante. In Italia è dunque la famiglia che storicamente si fa carico dei bisogni di assistenza, come emerge dai risultati dell’indice di invecchiamento attivo, al contrario dei Paesi del Nord Europa.

Fonte: Anap

Disabilità e mobilità sostenibile, studio racconta l’Italia del 2060

Strade più connesse e “intelligenti”, auto a guida autonoma. Sono queste alcune delle risposte che una ricerca della Fondazione Unipolis, svolta in collaborazione con Anglat (Associazione Nazionale Guida Legislazioni Andicappati Trasporti), cerca di dare per sostenere l’idea di un Italia più accessibile a tutti. Presentato durante la settimana europea della mobilità, lo studio intitolato “Il paradosso della mobilità” pone un accento importante sul diritto, per le persone con disabilità, all’accesso a modelli di sviluppo sostenibile che favoriscano spostamenti alla portata di ogni cittadino. Secondo il rapporto, infatti, nel 2060 il numero delle persone con disabilità aumenterà del 25%, per un totale di quattro milioni, mentre oltre due milioni di persone disabili utilizzeranno regolarmente mezzi di trasporto; di questi, uno su due sarà conducente d’auto. I risultati dello studio sono stati presentati nel corso di un evento, svoltosi a Bologna, da Marisa Parmigiani, Fondazione Unipolis, Fausto Sacchelli, Fondazione Unipolis, Roberto Romeo, ANGLAT, Sara Fulco, Angolazioni Rotonde, Marco Monesi, Città Metropolitana di Bologna.
I dati riportati nel rapporto non sono positivi: lo studio delinea un calo del 10% degli abitanti della penisola (55 milioni rispetto ai 60 attuali) e un invecchiamento sensibile della popolazione, con gli over 74 che cresceranno del 70%.  Aumenterà anche il numero delle persone con disabilità, passando dall’attuale 5,2% sul totale della popolazione, al 7,2%. Inoltre, la schiera dei disabili over 64 aumenterà del 51%, passando da 2 a 3 milioni e, fra questi, gli over 74 arriveranno a 2,5 milioni. Nel confronto con il 2060, come evidenziato, sono gli over 64 in crescita e questo trend riguarderà anche il dato relativo all’uso dell’auto: la persona con disabilità, anche se over 64 e soprattutto se over 74, non rinuncerà a essere conducente. In questo scenario, occorre riflettere su come i mezzi di trasporto pubblico e non potranno rispondere alle esigenze di questa popolazione, evolversi, e diventare un elemento costitutivo delle future comunità sostenibili.

Fonte: Redattore Sociale

 

 

 

COVID-19, gli anziani sono più resilienti

Da un piccolo studio condotto in USA emerge, un po’ a sorpresa, come nella popolazione anziana la percezione dei rischi legati al COVID non influisca direttamente sullo stato di benessere psicologico, evidenziando di fatto una certa capacità di resilienza.
I ricercatori – guidati da Amy Knepple Carney della University of Wisconsin – hanno usato annunci pubblicitari su Facebook per reclutare 166 adulti residenti in comunità, con un’età compresa tra i 18 e i 79 anni (età media 35,7 anni). Ai partecipanti sono stati sottoposti questionari online per valutare l’impatto dei disagi prodotti dal COVID-19 sul loro benessere e la loro salute.

Il campione era composto in maggioranza da adulti compresi nella fascia di età 18-24 anni (33,1%), giovani adulti dai 25 ai 29 anni (28,9%), adulti di mezza età dai 40 ai 59 anni (28,3%); solo 13 partecipanti (7,8%) avevano tra i 60 e i 79 anni.

In generale, non è stata osservata alcuna associazione significativa tra età e disagi prodotti dal COVID-19. Nelle persone di età superiore a 60 anni, i punteggi per stress e sentimenti negativi erano simili, a prescindere dal fatto che il COVID-19 avesse prodotto grandi o piccoli disagi nella loro vita, mentre i partecipanti più giovani riferivano elevati livelli di stress e sentimenti negativi.

“Confrontando le stesse condizioni oggettive, emerge chiaramente da parte degli anziani, in alcuni contesti e situazioni, una maggior resilienza emotiva e psicologica rispetto alle persone più giovani”, osserva Lloyd-Sherlock, della University of East Anglia, non coinvolto nello studio.

Un limite dello studio è rappresentato dal fatto che solo il 7,8% dei partecipanti era anziano, osservano gli stessi ricercatori su The Gerontologist. “Questa inchiesta si basa su dati molto limitati e servono studi molto più solidi per chiarire gli aspetti emersi”, continua Lloyd-Sherlock, “anche perché non deve passare il messaggio che gli anziani hanno meno bisogno, rispetto a persone di altre età, di interventi di sostegno psicologico come il counseling”

Fonte: The Gerontologist

Eurostat. In Italia aspettativa di vita tra le più alte, sia per uomini che donne. Ma resta alta percentuale di bisogni insoddisfatti

L’aspettativa di vita nell’UE è tra le più alte del mondo e l’Italia è tra i paesi dove questa è più alta (mediamente la più alta assieme alla Spagna).
Ma oltre le medie una realtà: in controtendenza con l’Europa dove in media vivono più le donne degli uomini,  Italia l’aspettativa di vita dei maschi è ai primi posti e sempre sopra ma media Ue con otto regioni in una classifica di dieci, mentre quella delle donne è sempre elevata, ma non c’è nessuna regione italiana tra le prime dieci in classifica.
A verificare le condizioni di salute nell’Ue con gli ultimi dati disponibili alla mano è EUROSTAT che ha pubblicato l’edizione 2020 dei dati regionali in cui è presente un capitolo sulla salute.
EUROSTAT sottolinea che la salute degli europei è legata a quella del pianeta: qualità dell’aria, dell’acqua potabile, del cibo.
E per la salute gli europei si aspettano servizi sanitari efficienti, ad esempio se si contrae una malattia o si è coinvolti in una incidente oltre che, in generale, una salute pubblica tempestiva e una informazione  affidabile.

Fonte: Quotidiano Sanità

 

Anziani discriminati per la loro età, Sigg-Sigot: fermare l'”ageismo”

“In termini tecnici si chiama ageismo e indica la discriminazione nei confronti di una persona in base alla sua età, in particolare verso gli anziani. Un fenomeno sempre più diffuso e comune che, a differenza di sessismo e razzismo, non è punito dalla legge. Secondo uno studio condotto a livello europeo, il 28% degli anziani ha riferito episodi di intolleranza addirittura più di coloro che subiscono atti di sessismo (22%) e razzismo (12%). In uno dei settori che riguarda gli aspetti principali della vita della persona anziana, ossia quello della sanità, il 30% degli over-60 ha dichiarato di essere trattato in modo ingiusto a causa dell’età”. È quanto si legge in una nota.

“Rispetto al razzismo e al sessismo, l’ageismo è ancora relativamente tollerato perché, a differenza dei primi due fenomeni, è l’unica discriminazione non punita dalla legge e a volte gli anziani si considerano troppo vecchi per trarre beneficio dalle cure più avanzate perché ritengono sia normale essere malati a partire da una certa età”, affermano Raffaele Antonelli Incalzi, presidente Sigg e Alberto Pilotto, presidente Sigot. Per questo, in occasione della celebrazione dei 20 anni della Carta Europea dei diritti fondamentali, la Sigg e la Sigot, insieme a 42 organizzazioni di 29 Paesi, promuovono lo slogan “#OldLivesMatter”- “Le vite degli anziani contano”- lanciato dalla Campagna globale contro la discriminazione nei confronti delle persone anziane per sensibilizzare cittadini, il mondo sanitario, le istituzioni e i media.
L’ageismo in Europa è declinato in molte accezioni: esempi si registrano sin dall’accesso al pronto soccorso che ha rifiutato di accogliere gli anziani nel pieno dell’epidemia di Covid-19 adducendo ragioni varie tra cui la mancanza di posti disponibili, alle pubblicità per le creme antirughe che stigmatizzano l’invecchiamento, fino alla perpetua denigrazione degli anziani a causa della loro inabilità nell’uso delle nuove tecnologie. La parola “pensionato” cala come una mannaia e li fa sentire immediatamente respinti dalla società. Il culto della giovinezza si contrappone alla demonizzazione senza fine della vecchiaia. La maggior parte delle persone non è conscia di contribuire alla diffusione di stereotipi nei confronti degli anziani che tuttavia li distrugge lentamente: uno studio ha dimostrato che le persone esposte a un comportamento negativo nei riguardi dell’invecchiamento vivono in media 7 anni e mezzo in meno rispetto alle altre.

Fonte: Redattore Sociale