Ci dicono sia venuto il tempo di riandare in città. C’è poco da fare il flaneur. Non riconoscendosi nei luoghi abituali, ci si interroga su come il flusso della pandemia abbia cambiato nell’identità le forze che fanno la città, cambiandone in profondità il nomos sociale e politico. Perché ogni città è costituita dall’intreccio di tre livelli: è città-mondo che cerca di agganciarsi ai flussi globali; è città-sociale percorsa da faglie e poteri civili; è città-piattaforma territoriale, aperta alla dimensione regionale, impasto di infrastrutture, produzione, comunità. Se si va oltre le serrande abbassate, tante, e l’anonimato dei volti segnati dalla mascherina che inducono spaesamento ci si interroga sul cosa e come sarà.
Le città sono i luoghi in cui più radicale è l’affermarsi di un nuovo ciclo della società che si fa iper (non post) industriale, trainato dalla centralità nel valore dei grandi servizi che rappresentano l’infrastruttura a sostegno della capacità umana e sociale di riprodursi: salute, natura, sapere, finanza, cultura, logistica, abitare. Una re-industrializzazione della città che non è certo il ritorno della “fabbrica”, perché è la città nel suo complesso che si fa fabbrica del valore.

Leggi: Il Sole 24 Ore, 09/02/2022