In questi giorni di recrudescenza della pandemia non si può tacere un dramma vissuto da molti, benché sia il più possibile occultato. Un dramma carico di dolore e sofferenza, di fronte al quale è nostra responsabilità reagire, per quanto possibile, in modo da contrastare il male che colpisce persone, famiglie e convivenze. Un dramma che non osservo dall’esterno ma nel quale mi sono trovato coinvolto in prima persona.
Una persona a me familiare, vedova e senza figli, verso gli ottant’anni è stata colpita da demenza senile. Fino ad allora autonoma e piena di forze, seppur in una vita solitaria in casa, riusciva a vivere in pienezza relazioni con i vicini e i compaesani. Siccome nessuno poteva ospitarla, le si è provveduta una badante, ma la malattia, con manifestazioni anche violente, non permetteva questo tipo di assistenza. Così la si è dovuta per forza portare in una Rsa, dove però è peggiorata, sempre più estranea a questo mondo e, pur visitata da parenti, ha deciso di rifiutare il cibo fino a morire.